Quel risultato, infatti, interpretato come protesta popolare contro l’élite al comando, riguarda anche i paesi europei e può creare le premesse per una disfatta della sinistra sedicente socialdemocratica, da tempo social-liberale. I segnali di un possibile sfaldamento sono già evidenti.
Germania anno zero.
La notizia della crisi di governo a Berlino è recente. Il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha licenziato il ministro dell’Economia, il liberale Lindner, guardiano dell’ortodossia di bilancio mentre Scholz avrebbe voluto qualche margine di manovra in più. Risultato: i liberali fuori dal governo (tranne il ministro dei Trasporti che ha preferito lasciare il Fdp), fiducia in Parlamento a gennaio e probabili elezioni anticipate a marzo. La Germania ha sofferto più di altri l’impatto energetico della guerra in Ucraina e la crisi verticale dell’industria automobilistica. Ma Scholz ha applicato l’ortodossia monetaria con cui la Germania ha tenuto in ostaggio l’Unione europea e ha dato una poderosa spinta alle spese militari. I risultati non si sono fatti attendere: l’estrema destra è volata, la Spd è crollata, la Cdu si prepara a tornare. Gli ultimi sondaggi la danno al 30-34%, davanti all’Afd al 16-19%, terza la Spd al 14-18% con i Verdi al quarto posto con il 10%. I liberali della Fdp si collocano sotto la soglia di sbarramento del 5%. Cresce invece a sinistra il partito di Sahra Wagenkneckt, tra il 6-9%, tendenza che potrebbe rafforzarsi. Proprio Wagenknecht ieri ha parlato di “fallimento politico” di Scholz e di un voto anticipato che dovrebbe essere effettuato prima di marzo.
Cercasi Labour.
Le cose non vanno molto meglio nel Regno Unito dove il laburista Keir Starmer ha stravinto le elezioni sbaragliando i Conservatori. Elezione presentata dalla stampa democratico-liberale come la conferma della bontà della “Terza via”. Solo pochissimi osservatori hanno notato che il Labour di Starmer ha ottenuto mezzo milione di voti in meno del più radicale Jeremy Corbyn nel 2019. Ma al di là dei voti, il Labour ha iniziato la sua avventura al governo inanellando scandali e disastri a ripetizione con un calo drastico dei propri indici di gradimento.
Il primo scandalo ha investito lo stesso Starmer quando si è scoperto che aveva ricevuto più di 100 mila sterline in omaggi sotto forma di biglietti, vestiti e alloggio. Poi, alla conferenza annuale del partito ha tenuto banco il voto per annullare i tagli alle indennità invernali sul carburante, una misura a sostegno della popolazione a più basso reddito, sostenuta dal sindacato e osteggiata dalla dirigenza laburista che è stata battuta.
Infine è arrivato il tempo delle dimissioni. Ha lasciato il partito la deputata di Canterbury Rosie Duffield caccusando Starmer di politiche “crudeli e inutili” e poi la Chief of Staff, Sue Gray, accusata di “mania del controllo” e per uno stipendio da 170 mila sterline.
La conseguenza è che l’ultimo sondaggio stima i Tories, che hanno eletto una nuova leader, Kemi Badenoch, nera ma molto conservatrice, avanti al Labour.
Izquierda in fuga.
La sinistra che sembrava reggere maggiormente le posizioni è quella spagnola. La leadership di Pedro Sánchez, almeno fino alle vicende di Valencia, è rimasta stabile, gli ultimi sondaggi lo danno ancora primo partito al 34% anche se il Partido Popular cresce sensibilmente. Ma nell’ultimo mese sono avvenuti due eventi che simbolicamente rappresentano l’incapacità della sinistra di stare, letteralmente, in mezzo alla gente. Il primo, a Valencia, ha visto Sánchez ritirarsi di fronte alle contestazioni di piazza – orchestrate anche dalla destra di Vox ma non ascrivibili solo a questa – mentre il re Felipe si è preso il fango in faccia ed è andato a parlare con la popolazione. Poi è esploso, ancora più a sinistra, il caso Íñigo Errejón, l’ex fondatore di Podemos, capo di Mas Madrid e portavoce parlamentare di Sumar, accusato di violenza sessuale. La vicenda ha mostrato che in Sumar e in Podemos tutti sapevano, ma nessuno ha fatto nulla. Sumar, che alle Europee è precipitata al 4,6% dopo il 12% delle Politiche, potrebbe uscirne a pezzi e con essa anche il governo.
La caduta di Jupiter.
La Francia rappresenta un caso particolare. Lì l’élite democratica, dopo il dissolvimento dei socialisti a seguito della presidenza Hollande, si è raccolta attorno a Emmanuel Macron, Jupiter, presentatosi come unica alternativa alle destre. La nascita del governo Barnier, grazie all’avallo di Marine Le Pen, è l’epitaffio di quella promessa. L’ultimo sondaggio sulla popolarità del presidente, pubblicato da Le Figaro, lo dà al 17%, il più basso da quando è in carica. E il governo Barnier è un governo di centrodestra, nato solo per precludere alla sinistra, che oggi vede i socialisti alleati della France Insoumis di Jean-Luc Mélenchon, l’andata al governo. Il modo in cui questa sinistra ha però giudicato il risultato di Kamala Harris è indicativo di problemi futuri: i socialisti, di fatto, assolvono la candidata democratica mentre France Insoumis mette all’indice le posizioni liberiste della sinistra progressista. I socialisti, poi, non abbandonano l’idea che a salvare la sinistra, sul piano identitario, possa essere l’Unione europea.
Ma se c’è un laccio che frena la sinistra europea è proprio l’approccio fideistico all’Ue. Ed è probabilmente in nome di questa fiducia cieca che la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha scelto di andare a incontrare Mario Draghi proprio nel giorno della sconfitta di Harris. Un incontro simbolico e, molto probabilmente, pieno di risposte sbagliate.