Il protocollo albanese
Salvatore Casciaro
Francesco Grignetti
Roma
Il segretario generale dell’associazione nazionale magistrati, Salvatore Casciaro, consigliere della corte di cassazione e membro di spicco della corrente conservatrice Magistratura Indipendente, davvero non vorrebbe entrare nell’ennesima polemica. Epperò, come previsto, la decisione sui migranti trattenuti in Albania ha scatenato un maremoto politico. «La politica – dice Casciaro – ovviamente decide quelle che sono le politiche dei flussi migratori. Ma nel farlo non può non tener conto del quadro normativo sovranazionale a cui la disciplina interna deve uniformarsi, ne può lamentarsi del fatto che i giudici facciano il loro dovere».
Segretario Casciaro, che cosa significa il ricorso del tribunale alla Corte europea di giustizia?
«Significa che il giudice, se ritiene che la normativa interna sia incompatibile con quella europea, ha due strade: disapplicare la normativa interna per incompatibilità con la normativa europea, oppure, in caso di dubbio, sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. In questo senso hanno deciso i giudici romani, in linea con quanto fatto da altri uffici di merito come Bologna».
Una procedura fisiologica, insomma. E perfino timida.
«Esiste un principio di primazia della disciplina europea, architrave per le corti nazionali dei Paesi membri dell’Unione. La normativa europea in materia di migrazione è sovraordinata rispetto a quella nazionale. Quando si tratta di normativa immediatamente vincolante e c’è un contrasto puntuale, il giudice può disapplicare. Se c’è un dubbio in merito all’incompatibilità, allora c’è la formula del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, che è quella deputata a interpretare la disciplina europea e a verificare, con efficacia vincolante, se la norma interna osta all’applicazione della disciplina europea. Direi che i colleghi di Roma hanno adottato la formula più cauta».
Aleggia sempre l’accusa ai magistrati di non “collaborare” con l’Esecutivo in materia di contrasto all’immigrazione clandestina, come se fosse un loro dovere.
«Guardi, mi sembra una polemica strumentale. Quasi che si voglia scaricare la responsabilità sui giudici rispetto a impedimenti o inciampi nel perseguimento di politiche migratorie. Le quali, per essere davvero efficaci, non possono non tener conto del quadro internazionale nel quale si collocano. Eventuali impedimenti, se derivano dall’applicazione della disciplina internazionale, erano preventivabili fin dall’inizio. Insomma, gli intoppi erano facilmente prevedibili. Per questo dico che mi sembrano polemiche senza senso. Ripeto: penso che sia una polemica strumentale per dare la colpa ai giudici in merito al mancato raggiungimento di alcuni obiettivi in una materia delicata e complessa quale può essere quella dell’immigrazione».
Alcuni ministri hanno ammesso che il Protocollo albanese è una “anticipazione” di direttive europee che non sono ancora in vigore.
«Le nuove direttive entreranno in vigore solo con l’estate 2026. Non hanno immediata operatività. Nel frattempo valgono le vecchie direttive. E la sentenza dell’ottobre scorso della Corte di giustizia ha interpretato la disciplina attuale vigente, dando una indicazione al giudice comunitario di valutare la sicurezza del Paese, ai fini di un eventuale rimpatrio, nella sua generalità e interezza».
Sembra quasi che qualche politico italiano mal tolleri la primazia della Corte di giustizia europea, o no?
«Questo non lo so e non posso dirlo. È però un dato assodato che i Paesi membri hanno rinunciato a quote di sovranità in funzione degli obiettivi dell’Unione. Ciò determina inevitabilmente che, nel momento in cui si adotta una disciplina interna in materia di immigrazione, vada tenuto conto di quelli che sono i vincoli europei a cui bisogna necessariamente uniformarsi».