Massimiliano Panarari
Game over: fine del grillismo. E della grilleide che ha sbeffeggiato e intimidito la politica italiana, finendo decisamente più per inquinarla (dal taglio dei parlamentari senza contrappesi alla criminalizzazione di qualsivoglia finanziamento pubblico) che per rinnovarla come da annunci programmatici. Ascesa, trionfi e, in queste ore, caduta di Beppe Grillo, il vero profeta per parecchi anni dell’antipolitica nazionale, e il dominus del «populismo al pesto». Sepolto dalla Costituente di «Nova», tramutatasi per lui in un buco nero che lo ha risucchiato, sotto la valanga del 63,24% dei consensi degli iscritti alla modifica dello statuto interno, con l’archiviazione della norma-tabù sui due mandati. E, soprattutto, l’abolizione del ruolo del Garante che equivale alla defenestrazione di colui che è stato il monarca assoluto del M5S. L’«ultima metamorfosi» del Movimento richiedeva l’espulsione nei fatti dell’unico fondatore rimasto, e l’uccisione simbolica del padre-padrone che lo aveva creato, comportatosi in modo sistematico come Crono che divora la prole, prima di questa nemesi in cui sono stati molti dei suoi ex pupilli e delfini – a lungo derubricati al rango di meri portavoce di una sedicente volontà generale popolare – a mangiarselo.
Nell’età del «divertirsi da morire» (descritta in maniera lungimirante dal sociologo Neil Postman), non poteva certo mancare il capo comico che si erige a capo politico. Grillo è, per l’appunto, un figlio della società dello spettacolo e un prodotto dell’intrattenimento eletto a principio di vendita di qualunque cosa – politica compresa – che, per una serie di ragioni, «scende in campo». Atteggiandosi prima a vox clamantis in deserto, quindi a eretico perseguitato dal sistema e, dopo il debutto del ciclo delle vittorie elettorali, a «messia» salvatore del popolo oppresso dalle élites, ribadendo sempre una vena (anche lessicale) mistico-religiosa. Nel 1982, infatti, si era già molto calato nella parte del protagonista del film di Luigi Comencini «Cercasi Gesù», e siamo ancora lontani anni luce dalla sua versione di primattore della politica italiana. Per arrivarci transiterà attraverso i debordanti successi televisivi degli Anni Ottanta, la conversione ecologista e il luddismo degli Anni Novanta travasati in vari recital teatrali, le campagne contro banche e multinazionali dei Duemila. Ovvero il processo incubatore dell’attivazione di comitati civici – spesso portatori insani della «sindrome Nimby» – e gruppi territoriali impegnati in battaglie (e polemiche) di vario genere, pronti a trasformarsi nei meetup e nella rete degli Amici di Beppe Grillo, da lui coordinati attraverso il Blog e impiegati come le «falangi armate» dell’indignazione contro le classi dirigenti locali. Ecco, quindi, i sanculotti, resi operativi online, dell’incipiente ribellione antisistema che trovò i suoi palcoscenici nei Vaffaday del 2007 e 2008, autentiche dimostrazioni di forza e rappresentazioni di piazza dell’indignazione e della rabbia contro tutte le «caste». Il 2008 è l’anno della svolta e dell’avvio della campagna permanente del grillismo: il cantiere delle «liste civiche a 5 Stelle», approvate e certificate dallo showman ormai leader (anti)politico, e la sua candidatura alle primarie del Pd che sarà, infine, rigettata. E che viene cavalcata come la finestra di opportunità per indicare una sola strada praticabile: quella della fondazione di un movimento alternativo, presentato pubblicamente il 4 ottobre 2009, il giorno della festività di San Francesco, invocato da allora quale icona protettrice (o, per meglio dire, «santino») dell’azione del Movimento 5 Stelle. Era nato il «non-partito», di fatto il primo caso di «partito bipersonale» nell’Italia culla di quelli personali. Una formazione che rivendicava la propria alterità rispetto alla forma-partito e il proprio Dna di agitazione e movimentismo perenni, ma scaturiva innanzitutto dalla perfetta intesa e simbiosi, basata su una divisione funzionale dei compiti, della coppia che deteneva il controllo assoluto di questa organizzazione. Dentro la quale Gianroberto Casaleggio rappresentava l’eminenza grigia e il «tecnocrate», e Grillo il «visionario in seconda» e il trickster che diceva le verità che gli establishment vietavano di pronunciare. Soprattutto, nella postmodernità della politica come performance, il suo ruolo era quello del frontman e del comiziante, chiamato a recitare la buona novella antistemica e ad applicare via web – descritto come il luogo delle sorti magnifiche e progressive della partecipazione («ve la do io la partecipazione…») – le stesse strategie comunicative che gli avevano regalato tutta quell’audience in Tv nella fase precedente. Non per nulla, a dispetto dello storytelling dell’«uno vale uno» e della retorica della disintermediazione, l’utilizzo di Internet da parte dei dioscuri cofondatori si è rivelato altamente verticalizzato e top-down (e, dunque, manipolativo). Con una spruzzata di pauperismo (a parole), pseudo-spiritualismo new age e da «Silicon Valley di Ponente», e francescanesimo prêt-à-porter, brandito anche ieri da Grillo mediante uno stato di Whatsapp tanto critico e poco criptico: «Da francescani a gesuiti». Così, il «leader guitto e giullare» acerrimo nemico del berlusconismo comandava, insieme a Casaleggio, su un «non-partito» che costituiva, però, de facto un partito azienda, e fatturava lautamente col suo «sacro blog». La contraddizione incarnata, pronto a compiere slalom e a giustificare testa-coda repentini: ossia l’identikit del politico politicante più che di quello intransigente e «rivoluzionario». D’altronde, il personaggio è innanzitutto un (amorale) performer della vita pubblica, giustappunto, su cui cala adesso definitivamente il sipario dopo il «VaffaGrilloday».
Nondimeno, il lupo – non di San Francesco – perde i peli (e i grilli…), ma non certi vizi di posizionamento in politica estera, come mostra la corrispondenza di amorosi sensi antiliberali e antioccidentali fra il «Nuovo M5S-PdC (Partito di Conte)» e la formazione politica personale della rossobruna Sahra Wagenknecht. Ecco, quel lascito (e grumo) profondo del grillismo pare proprio destinato a perpetuarsi ancora a lungo.