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30 Novembre 2024Aree interne
Le cosiddette «aree interne» della Toscana, insieme con quelle «intermedie», rappresentano — secondo uno studio dell’Irpet, di cui ha dato un ampio resoconto ieri il Corriere Fiorentino — il 67% del territorio regionale e contengono un quarto della popolazione toscana. Il punto critico di questi dati sta nel fatto che queste vastissime zone del territorio, specialmente collinari e montane, producono appena il 17% del Pil regionale. La ricerca dell’Irpet evidenzia anche un fenomeno che è nazionale, ma ormai anche toscano, e cioè la perdita di popolazione per un meno 2,2% destinato a crescere col passare degli anni. Non a caso le perdite più consistenti si verificano proprio nelle aree periferiche, come su questo stesso giornale avevamo segnalato da tempo a proposito della questione dei «borghi-paesi». Nello studio dell’Irpet, ben sintetizzato da Silvia Ognibene nell’articolo citato, si indicano anche le proposte per frenare se non invertire questo processo di invecchiamento e declino della popolazione, particolarmente evidente negli insediamenti più lontani dai centri urbani. La Toscana, come è noto, presenta una fitta rete di città e cittadine, ma nello stesso tempo anche una serie di insediamenti minori che, per ragioni facilmente comprensibili, hanno da lungo tempo cominciato a perdere popolazione e vitalità economica.
L’Irpet indica una serie di interventi per fronteggiare un fenomeno di cui anche la Regione Toscana si è resa consapevole da tempo. Si pensi solo all’importanza delle cooperative di comunità. La stessa consapevolezza, però, non si è manifestata nell’affrontare problemi infrastrutturali fondamentali come le reti stradali e le reti digitali. Per non parlare dei servizi di base come poste, banche, farmacie e soprattutto scuole e sanità. L’esempio dell’area dell’Amiata mi sembra davvero esemplare. Si tratta di un’area importante della Toscana meridionale, che comprende le province di Grosseto e di Siena. Un grande cono vulcanico, ricco di verde e di acqua (si pensi all’importanza dell’acquedotto del Fiora) e coronato da insediamenti antichi, castelli, pievi, borghi, che ancora hanno retto allo spopolamento, prima per lo sfruttamento minerario, poi per iniziative imprenditoriali importanti che hanno valorizzato le tradizioni locali, nella produzione di pane e dolciumi, di vino e olio, di castagne, ma anche per l’impegno di manodopera nel settore della moda. Per evitare che questa «resistenza» e ingegnosità venga penalizzata le infrastrutture materiali e immateriali sono fondamentali. Si pensi, purtroppo, che nell’area dell’Amiata il 60% delle reti viaggia a meno di 30 Mbps. La rete viaria, poi, è disastrosa. Basti pensare alla via Cassia continuamente interrotta da lavori in corso che non hanno mai fine e con lo scandalo della chiusura, da ultimo per due anni, del traforo di Radicofani. Con una motivazione che l’Anas si è limitata a definire: adeguamento degli impianti. Quello che, infine, andrebbe davvero compreso e valorizzato non è solo il fatto della presenza del verde e dell’aria pulita, ma la qualità dell’ambiente e della sociabilità. Più il cosiddetto «capitale umano». Troppo spesso i «pensionati» si sono considerati come presenza residuale, mentre andrebbero spinti a valorizzare la loro esperienza lavorativa, specialmente nella piccola agricoltura, nell’artigianato o nei tanti «mestieri» di cui ancora c’è bisogno. In questo, molto spesso, sono proprio le donne a dare l’esempio.
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