ROMA — Il Fisco amico si fa nuovi nemici. Furiosa, la Lega. «Troviamo sbagliata, nel merito e nel metodo, la pioggia di lettere che l’Agenzia delle Entrate ha riversato sui contribuenti italiani». Il messaggio è diretto al viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, in quota Fratelli d’Italia. È lui il regista dell’operazione nata per convincere imprenditori e professionisti ad aderire al concordato preventivo biennale, il patto con il Fisco chiamato a finanziare il taglio delle tasse per il ceto medio. A una settimana dalla scadenza, il timore di Leo è non riuscire a incassare gli 1,2 miliardi che ancora mancano per ridurre la seconda aliquota Irpef dal 35% al 33%. La strategia, dunque: 700 mila lettere, in formato Pec, a chi ha dichiarato meno di 15 mila euro, un reddito inferiore a quello dei dipendenti che lavorano nello stesso settore.
Un avviso “dolce”, ispirato al Fisco amico caro a Giorgia Meloni perché la lettera non è un accertamento. Informa il titolare della partita Iva che la sua dichiarazione per il 2023 indica un reddito che «può essere considerato anomalo ». E ricorda che può ancora presentare un’integrazione: una possibilità, non un obbligo. Non solo. Per il 2024 e il 2025 può aderire al concordato, che offre sconti sulle imposte e congela i controlli, e fino al 31 marzo dell’anno prossimo anche al ravvedimento speciale, la sanatoria per i debiti 2018-2022. Ecco la spinta verso il concordato. L’irritazione del Carroccio monta proprio su questo passaggio della lettera. «Riteniamo che così si snaturi uno strumento nato per stabilire un patto di lealtà tra contribuente ed Erario », annota il Dipartimento Economia del partito di Matteo Salvini. La forzatura, secondo i leghisti, deriva dal fatto che l’obiettivo delle lettere delle Entrate è indurre i contribuenti «ad aderire al concordato preventivo biennale» sulla base di «ipotetiche anomalie e indipendentemente dal loro merito fiscale». Come a dire: in questo modo le partite Iva vengono bollate automaticamente come evasori fiscali. Altro che Fisco amico, dunque.
La mossa di Leo si rivela un boomerang per la maggioranza. E mette contro il governo anche i commercialisti, da sempre in sintonia con la riforma fiscale disegnata proprio dal vice di Giancarlo Giorgetti al Mef. Non questa volta, però. «I recenti invii non favoriscono la compliance fiscale, ma generano confusione e preoccupazione tra i contribuenti», scrivono in una nota congiunta i presidenti di Ungdcec, Aidc e Adc. Il ragionamento è lo stesso di quello espresso dal Carroccio: «Le lettere di compliance, concepite per promuovere il corretto adempimento fiscale e favorire la trasparenza con l’amministrazione finanziaria, sembrano diventate uno strumento intimidatorio», si legge nella nota che fa riferimento al passaggio della lettera delle Entrate dove si parla di «casi anomali che, dopo ulteriori approfondimenti, sono selezionati per le attività di controllo». Anche l’ex deputata del Pd, Alessia Morani, attacca l’esecutivo: «Vogliono spaventarti con la minaccia dei controlli se non aderisci al concordato».
Non è la prima volta che il governo interviene per sollecitare l’adesione al concordato. Dieci giorni fa, infatti, una lettera simile era stata inviata a più di 2 milioni di partite Iva che non hanno aderito entro il 31 ottobre. In quell’occasione si ricordava la riapertura dei termini fino al 12 dicembre, oltre ai «benefici premiali» e all’imposta sostitutiva «con aliquote ridotte sul maggior reddito concordato ». Nessun clamore, allora, dentro la maggioranza. Le nuove lettere, invece, scaldano la partita tra la Lega e FdI sul fisco. Il Carroccio vuole portare a casa la maxi-rottamazione delle cartelle fiscali in 120 rate, ma Leo è contrario. Il viceministro spinge per il taglio dell’Irpef, chiesto a gran voce anche da Forza Italia, anche se i tempi dell’intervento non coincidono. Tensioni, sgambetti, ripicche. Il Fisco amico divide la maggioranza.