Nello spettacolo teatrale “Perché io non spero più di ritornare” Emidio Clementi dei Massimo Volume e il chitarrista Corrado Nuccini attraversano gli incubi americani. Qui ce lo raccontano
di
Luca Valtorta
Milano. Teatro degli Angeli. Una valigia sulla prima linea del palco. Luci che si riflettono sui pannelli di un allestimento minimale. Uno specchio. Una sedia. Entrano tre musicisti: due uomini e una donna e iniziano la costruzione di un tappeto sonoro al tempo stesso evocativo e straniante. Improvvisamente appare in scena un individuo alto in canottiera e jeans. Tatuaggi sulle braccia. Dice: «Ho trovato un uccello morto in mezzo a un parcheggio. Non c’erano macchine intorno. L’uccello era in condizioni perfette, non ancora irrigidito e senza tracce di sangue. L’ho raccolto e una volta a casa l’ho messo nel ghiaccio. Il giorno dopo io e mio padre lo abbiamo mostrato ai vicini per capire se qualcuno di loro avesse mai visto un uccello simile (…). Ci siamo rivolti allora a un tassidermista ma nemmeno lui è riuscito a darci una risposta precisa, anche se tutti e tre eravamo d’accordo che si trattasse di un uccello acquatico visto che aveva le zampe palmate. Secondo lui mentre sorvolava il parcheggio l’uccello doveva aver confuso l’asfalto con la superficie di un lago. A quel punto era sceso in picchiata e si era sfracellato al suolo. L’idea del tassidermista era così assurda che per giorni non ho pensato ad altro».
È un racconto di Motel Chroniclesdi Sam Shepard che è difficile non leggere come la parabola umana degli artisti che infestano i sogni e la scrittura di Emidio Clementi, detto Mimì, l’uomo in canottiera ( ma nel corso dello spettacolo vestirà lentamente una camicia bianca e poi un elegante doppiopetto) che dal 1993 con la band Massimo Volume ha creato un affascinante e minaccioso crogiolo in cui si mescolavano musica e letteratura. Album che hanno segnato l’immaginario della generazione “ indie” dai titoli enigmatici come Stanze oLungo i bordi.Poi la scrittura di libri come Gare di resistenza, La notte del Pratello, L’ultimo dio, Matilde e i suoi tre padri e, ultimo nel 2022, Gli anni di Bruno.
La sua strada si incrocia nel 2015 con quella di Corrado Nuccini, chitarrista e fondatore dei Giardini di Mirò, con cui darà vita a una trilogia musicale e letteraria. Un vero e proprio viaggio al termine della notte iniziato con Notturno americano,in cui veniva raccontata l’America urbana del primo ’900 descritta da
Emanuel Carnevali, che prosegue poi con Quattro quartetti, il testamento letterario di T. S. Eliot, e trova la conclusione con Motel Chronicles, dedicato appunto a Shepard.
Adesso è arrivata l’ora di un nuovo progetto, uno spettacolo teatrale con la regia di Paolo Bignamini. Un incrocio di musica, luci, parole, immagini che colpisce con grande forza: è così denso che potrebbe cambiare la vita di un giovane che avesse il coraggio di affrontarlo, facendogli persino dimenticare per un’ora e mezza gli infiniti scroll del mondo virtuale aprendo al piacere dell’ascolto, della musica e della lettura. « La sfida di questo lavoro è quella di trovare un nuovo equilibrio più teatrale, che consenta di dare un’identità diversa a quello che era il loro progetto musicale, trovare un un’idea di forma dentrocui contenere il flusso di quell’energia che già era Motel Chronicles. Abbiamo insomma cercato di raccontare con il linguaggio del teatro, una cosa difficile da definire che era la letteratura di Emidio e la musica di Corrado», spiega il regista. «Questo perché ci hanno dato un teatro: se ci avessero dato uno stadio, avremmo fatto una cosa da stadio, magari avremmo portato una squadra di calcio » , dice ridendo Nuccini, «e poi quando è mai successo che Emidio abbia avuto la possibilità di arrivare a petto nudo sulla scena?». «In effetti ci voleva il teatro perché potessi farlo: abbiamo fatto tre dischi insieme e non è mai successo. Comunque sentivamo il bisogno di realizzare una cosa diversa », spiega Emidio, «poi parlando è nata l’idea di portare tutta la trilogia in scena. Però per farlo ci voleva una drammaturgia, qualcosa che tenesse uniti tre diversi mondi eltterari ed esistenziali. E a quel punto sono entrati in scena Paolo e Giulia che questa drammaturgia non solo sono riusciti a costruirla, ma sono stati molto bravi anche a isolare dei temi all’interno dello spettacolo facendo un lavoro di ricostruzione anche su L’ultimo dio(il libro di Clementi, ndr), creando una narrazione nuova».
Emanuel Carnevali per Clementi è sempre stata quasi un’ossessione da quando lo ha scoperto, tanto che il suo stesso libro riecheggia volutamente quello di Carnevali. Intitolato Il primo dio,racconta l’infanzia dello scrittore e poeta nato a Firenze nel 1897 che, ad appena sedici anni, partì per gli Stati Uniti scappando da un padre autoritario, arrivando a New York e arrabattandosi con I lavori più umili. « Non riesco proprio a liberarmene. Credevo di averlo fatto con i Massimo Volume scrivendo una canzone nel 1995 e poi inNotturno americano, invece, è vero: Emanuel Carnevali continua a tornare. Lui è stato uno scrittore molto sfortunato perché non ha mai pubblicato niente in vita, che è la condanna più grande. Però, alla fine, è stato ripubblicato più volte, ha avuto una fortuna postuma notevole. Alla fine sono pochi gli scrittori di cui ancora si parla dopo centovent’anni».
Il modo in cui Mimì l’ha incontrato è degno di un suo racconto. « In Italia era già stato pubblicato da Adelphi. Io lavoravo in un’osteria a Bologna e la sera scrivevo. Paco D’Alcatraz, che era un comico, una sera mi portò un libro dicendo: “ Questo è uno come te, che lavorava in cucina e scriveva. È stata una folgorazione immediata che mi ha dato uno sguardo nuovo. Ero convinto che per scrivere ci fosse bisogno di fare esperienze diverse e invece alla fine era questione di sguardo: ce l’avevo attorno, quello di cui avevo bisogno, ma dovevo vederlo. Di questo io gli sarò sempre debitore. E la scrittura era moderna, incredibilmente moderna » . «Ha una ritmica particolare, lo dico dal punto di vista musicale che forse è dato dal fatto che lui scriveva in inglese e successivamente è stato tradotto dalla sorella. La scrittura italiana di quei tempi era molto più prolissa», spiega Nuccini.
« Lui è stato molto bravo a dare un vestito alla musica che si rifà alla parola; però, per esempio inNotturno americano, c’è un mix di musica colta europea del primo ’900 e il blues americano. Mettendoli insieme gli ha dato un vestito molto personale. Lo stesso ha fatto con Shepard, recuperando un’atmosfera vagamente messicana che lui ha, mentre su Eliot ha lavorato sul ritmo e quindi è quello più elettronico che, sembra strano, però gli è proprio » . Non era facile mettere insieme elementi così diversi. « Il primo lavoro è stato quello di dare in mano il testo a Giulia Asselta che, come dicevamo, ha creato una cornice narrativa che è quella del romanzo di Emidio. Abbiamo provato poi a incastonare al suo interno i brani dei tre dischi. Per cui, aprendo le maglie del romanzo, i brani musicali, i pezzi da Shepard, da Eliot, da Carnevali, suonavano tra di loro perché avevano una coerenza interna sembrando nuovi; cioè, sembrava che parlassero della storia che volevamo raccontare che è quella della costruzione di un sé».
Così i tre autori perdono ogni riferimento spazio temporale. Lo spettatore che non conosce le premesse in effetti assiste a un viaggio del protagonista nel mondo e dentro di sé. Il titoloPerché io non spero più di ritornare, da questo punto di vista, è esemplificativo perché è Eliot ma diventa qualcos’altro. « Il tema dello spaesamento era centrale nello spettacolo. E quel verso è veramente ambiguo», spiega ancora Mimì, «perché puoi leggerlo sia in una volontà di tornare, ma in realtà anche nel contrario. E poi è un titolo lungo, che poteva essere una controindicazione e anche questo ci piaceva. Infine è sì un verso del Mercoledì delle ceneri di Eliot ma lui, a sua volta, l’ha preso da un poeta italiano, Guido Cavalcanti: Perch’ì no spero di tornar giammai. E così il cerchio si chiude».