Ercole Consalvi è stato il più grande segretario di stato nella storia del papato. Romano, nato nel 1757 e morto il 24 gennaio 1824, l’intelligente prelato – mai ordinato prete, com’era in quel tempo possibile – ha la ventura di attraversare un’epoca che ha cambiato il mondo.

Degli avvenimenti cruciali vissuti da protagonista Consalvi scrive tra il 1811 e il 1812, «in un critico momento e sempre con il timore di essere sorpreso»: in fretta, «a fior d’acqua», senza poter rileggere. «Sono anzi costretto a deporre la penna quanto posso più presto» e a nascondere i fogli. Il più stretto collaboratore del papa – Pio VII, prigioniero di Napoleone – è a Reims, anch’egli recluso sotto stretta sorveglianza. Più tardi aggiungerà brevi appunti su «date e memorie» della sua vita, «per quanto posso rammentarmene dopo molti anni».

È pieno inverno quando il prelato inizia a scrivere, ed è «un lavoro che potrebbe costarmi assai caro se fosse conosciuto» sottolinea. Lo scopo è chiaro: degli avvenimenti legati al suo ruolo non si deve perdere la memoria «nello spoglio sofferto dalla Santa Sede di tutti i suoi archivii» – che in gran parte erano stati trasferiti dai francesi a Parigi – e questo suo sforzo «potrà forse un giorno essere utile a qualche cosa per gli interessi o difesa della Santa Sede medesima».

Il racconto della vita

In questa luce vanno dunque letti i sei scritti di Ercole Consalvi (Memorie, Il Prato), editi a varie riprese sin dal 1864, all’inizio in francese, ora riuniti e curati nell’originale italiano da Roberto Regoli.
Cinquantaquattrenne, il prelato italiano ricostruisce soprattutto il tempo cruciale in cui è stato segretario di stato e che coincide con la presa del potere di Napoleone. Ma poi lo sguardo si estende a tutta la sua vita e il racconto – sempre lucido e sorvegliato – ha tratti autentici e drammatici. La famiglia in cui nasce a Roma è aristocratica, imparentata con cardinali, funestata da ripetuti lutti e tragedie.

Il piccolo Ercole perde il padre a soli sei anni, e cresce inizialmente in casa del nonno paterno. Ancora bambino viene mandato con due fratelli a Urbino, in un collegio tenuto dagli scolopi: qui si consuma un fatto atroce, come ricorderà con dolore – e una cautela tipicamente curiale – lo stesso cardinale.

Dei tre ragazzini Giovanni Domenico muore. La causa è «una orribile malattia, che si credé prodotta (io non asserisco con certezza che tale ne fosse la causa) dalla brutale ferocia, con cui il religioso, prefetto della camerata in cui eravamo, la sera nel nostro coricarsi nel letto percoteva con un grosso nerbo in camicia per ogni minima mancanza commessa nella giornata i teneri giovinetti, dei quali io che avevo 10 in 11 anni ero il più anziano».

Ritirati in fretta dal collegio di Urbino, i due fratelli superstiti vengono trasferiti in un seminario tenuto a Frascati dal cardinale Enrico Benedetto Stuart. Appartenente alla famiglia reale inglese, il duca di York – insieme al collega Andrea Negroni, tutore dei Consalvi – sarà il grande protettore di Ercole. Il giovane entra così nell’Accademia dei nobili ecclesiastici per formarsi alla prelatura con «studii legali e di storia ecclesiastica».

Uscito dall’accademia, Consalvi percorre nella curia romana una carriera dove si succedono incarichi amministrativi e titoli che in buona parte resteranno sino alla radicale riforma di Paolo VI. Li ricorderà lo stesso cardinale: cameriere segreto e prelato di mantellone, prelato domestico e referendario della Segnatura, «ponente del buon governo», segretario e presidente della Congregazione di San Michele a Ripa Grande (un grande organismo di beneficenza), uditore di Rota, «assessore della Congregazione militare», carica che definisce in una lettera a un prelato amico «brigosissima, odiosissima e inutilissima, conoscendo voi questo paese».

In curia

Uomo preparato e accorto, Consalvi è un curiale conservatore e intelligente. Ma ha chiarissime le carenze di un ambiente autoreferenziale e i limiti dei suoi colleghi, descritti in un’altra lettera del 1796 in modo sferzante: «Essi non hanno fatto mai 3 miglia più in là di Pontemolle [ponte Milvio], non hanno altre idee né altre nozioni, che quelle che si racchiudono fra le nostre mura; non conoscono altro mondo che questo, e credono che tutto il mondo stia qui, e tutti pensino e vedano le cose come essi le vedono. Questo male è irrimediabile». Un giudizio dall’interno molto severo e che la storia successiva della curia fino a oggi conferma.

Nel 1789 era iniziata l’epoca che Consalvi definirà «di grandi calamità generalmente per tutti per effetto della rivoluzione senza esempio che verso la metà di quell’anno scoppiò nella Francia e che dilatò poi l’incendio in tutta Europa e fuori ancora della medesima».

Proprio quell’anno altri lutti e un nuovo crimine angosciano il prelato, che perde un domestico, «di una illibatezza e fedeltà senza pari», assassinato appena ventenne a Roma mentre difendeva la moglie dalle molestie di quattro soldati «caldi dal vino e dalla lussuria».

Pur segnata da tragedie personali e da un’acuta sensibilità, la vita di Consalvi trascorre senza particolari scosse fino all’inizio del 1798, quando lo stato papale, sconfitto dai francesi, è travolto e per la prima volta viene soppresso il potere temporale del pontefice. Il curiale, arrestato e poi espulso, riesce però a visitare Pio VI deportato a Firenze. Trasferito poco più tardi in Francia, il vecchio papa muore il 29 agosto 1799.

La svolta e il concordato

Un mese dopo, la svolta: il 2 ottobre Consalvi è scelto, in assenza del titolare, come pro-segretario del conclave dai cardinali arrivati a Venezia per prendervi parte. La reclusione elettorale inizia – sotto l’ingombrante protezione austriaca – il 30 novembre 1799 nell’isola di San Giorgio. Le manovre e le votazioni per eleggere il successore del pontefice morto in esilio si prolungano per tre mesi e mezzo, in un contesto politico difficilissimo, e il ruolo esercitato da Consalvi è indubbio, anche se non esclusivo, nella progressiva scelta del candidato: è un altro romagnolo, il monaco Barnaba Chiaramonti, che dal conclave esce papa il 14 marzo 1800, destinato a regnare per ventitré anni con il nome di Pio VII.

L’eletto intende sottrarsi all’influenza dell’Austria e subito nomina pro-segretario di stato Consalvi, rivelatosi preparato e molto abile. Dopo l’arrivo a Roma, l’11 agosto 1800 il papa lo crea cardinale e lo nomina segretario di stato, ordinandolo diacono il 21 dicembre 1801.

In modo tagliente Consalvi, reduce da Parigi, difende dalle critiche dei confratelli il concordato con la Francia: se i francesi occupassero Roma, i cardinali romani «sottoscriverebbero ancora l’Alcorano [il Corano]». Ma le relazioni difficili e burrascose con la Francia occupano per oltre due terzi il pontificato di papa Chiaramonti e il governo del suo segretario di stato, costretto da Napoleone a lasciare la carica nel 1806, e nel 1809 deportato in Francia come lo stesso pontefice.

Soltanto cinque anni dopo, tra colpi di scena drammatici, la sconfitta e l’abdicazione dell’imperatore permettono a Pio VII di riacquistare la libertà e a Consalvi di riassumere la carica di segretario di stato. Nell’aprile del 1814 sulla via dell’esilio per l’Elba, Napoleone – che nel 1810, furibondo, aveva accusato il cardinale di essergli nemico per motivi politici e non religiosi – incrocia nella Francia meridionale il prelato e commenta a un generale del suo seguito: quell’uomo non vuole avere l’aria di un prete ma lo è più degli altri.

Al congresso di Vienna il segretario di stato rappresenta la Santa sede, e per dieci mesi tra innumerevoli opposizioni ne difende i diritti, deciso a profittare del male – i rivolgimenti dell’ultimo quarto di secolo – «per cavarne un bene anche in maggior dose». E ci riesce, pur consapevole della radicalità dei cambiamenti: il 2 luglio successivo il segretario di stato rientra a Roma e porta al papa «la ricupera di tutto lo Stato».

Per otto anni ancora Consalvi governa. Dopo la morte di Pio VII, nel conclave prevale la linea contraria, e il segretario di stato viene rimosso dal successore, il reazionario Leone XII, eletto il 28 settembre 1823. Rientrato a Roma l’11 gennaio 1824, dopo essere stato «a respirar l’aria di mare a Porto d’Anzio», il 13 gennaio il cardinale è ricevuto in udienza dal pontefice, che lo nomina prefetto di Propaganda fide. Ma è troppo tardi: undici giorni dopo Consalvi muore.