La Camera ha approvato con ampia maggioranza una legge che solo fino a qualche anno fa sembrava una pura utopia per ogni garantista: la separazione delle carriere.

Intendiamoci, per evitare una truffa delle etichette è bene specificare che non di vera cesura delle carriere si tratta, in quanto il pm resta nell’indipendente e autonomo ordinamento giudiziario con tutte le garanzie previste e con un suo proprio Consiglio superiore che lo tutelerà ma che non sarà più il suo giudice disciplinare, compito delegato a una nuova Alta corte che come il Consiglio sarà composta prevalentemente da suoi colleghi. Chi si strappa i capelli lamentando un presunto controllo del governo sulle procure mente o non ha capito nulla (percentuali simili).

Per capire quanto fosse ineludibile la divisione netta dei percorsi basta analizzare l’intervento di un membro togato del Csm per sostenere la candidatura di un collega pm alla Dna nei confronti di un altro candidato: il primo aveva fatto arrestare e mandare al 41 bis centinaia di mafiosi (presunti o reali poco importa), al contrario del secondo (pm apprezzato per equilibrio, competenza e pacatezza di toni) che dunque era meno “idoneo”.

Se questi debbono essere i criteri di valutazione di un inquirente, la separazione è financo tardiva e si è già consumata da un pezzo nelle teste degli stessi magistrati, sin da quando, col nuovo codice, si è posta la polizia giudiziaria formalmente alle dipendenze del pm, in realtà consentendo alla prima di contaminare la funzione del secondo.

Il sorteggio

Va detto che la legge è modellata sul progetto di iniziativa popolare promosso con una raccolta delle firme nel 2017 dagli avvocati dell’Unione delle camere penali che avevano a loro volta ripreso il modello istituzionale che da mezzo secolo si applica in Portogallo con reciproca soddisfazione di politica e magistrati.

Ristabilita la verità va detto che ogni onesto garantista deve comunque provare serio imbarazzo per le modalità con cui la legge è stata portata all’approvazione senza possibilità di discussione e dibattito parlamentare.

La normativa contiene una parte inaccettabile, relativa all’introduzione del sorteggio integrale per i membri togati: tale innovazione senza precedenti nasce con il dichiarato scopo di far fuori le correnti dei magistrati.

Ora immaginate che qualcuno proponga di estrarre a sorte i parlamentari sul presupposto di eliminare il potere dei leader politici. Il vero bersaglio è il principio di rappresentanza cardine di una democrazia e lo scopo quello di ridurre i Csm a organi di ordinaria amministrazione e non di necessaria voce di una istituzione cardine dello stato di diritto.

Non si può impedire a nessuno la libertà di opinione. L’esempio di ciò che si è fatto in Polonia, Ungheria e finanche in Israele dove il parlamento in mano alla maggioranza può disapplicare le sentenze della Corte costituzionale deve far pensare sul fine ultimo di tali politiche.

Lo «scudo»

È necessario dunque si apra un dibattito nel passaggio al Senato della legge.

Contemporaneamente il vulcanico Carlo Nordio ha preannunciato una nuova legge che taluno ha definito come «scudo penale» per le forze dell’ordine. Oscuramente si fa trapelare che essa dovrebbe garantire addirittura una sorta di totale immunità financo dagli avvisi di garanzia per gli agenti che dovessero essere sospettati di abusi, ponendo una inaccettabile discriminazione incostituzionale.

Chi abbia una minima infarinatura di diritto penale sa che lo “scudo” esiste già con l’articolo 51 codice penale che rende non punibili eventuali atti illeciti commessi in adempimento di un dovere e dunque le azioni di ordine pubblico sono già integralmente tutelate. A che pro la trovata di uno scudo? Forse per concedere immunità speciali in previsione di prossime proteste?

Forse per tutelare chi dovesse commettere possibili abusi su detenuti e fermati? Ci si preoccupi piuttosto di fornire alle forze dell’ordine adeguata tutela legale sgravandole dai costi della difesa o fornendo copertura assicurativa. È legittimo temere un disegno complessivo di restringimento delle garanzie tramite il rafforzamento del potere governativo.

Un’ultima cosa ai miei colleghi oggi giustamente in festa dopo una lunga battaglia: dieci anni fa al congresso dell’Unione a Genova ci siamo commossi ed emozionati davanti alle immagini dei colleghi turchi in toga caricati dalla polizia di Recep Tayyip Erdoğan mentre occupavano per protesta le loro aule. Difendevano lo stato di diritto che vedevano sfiorire: nessuno di noi pensava potesse capitare qui, allora.