I ragazzi in passerella per la stilista e Raf Simons hanno un’energia selvaggia Un ritorno alle origini nel segno delle passioni e dei sentimenti
Abbiamo fatto quello che ci sembrava giusto, tutto qui. Si parla di progresso, di IA e tecnologia, ma ora dobbiamo rimanere attaccati alla nostra umanità, anche quando lavoriamo. L’obiettivo della collezione è dare via libera alla nostra spontaneità». Miuccia Prada racconta così la genesi della sfilata presentata ieri, all’interno della sua Fondazione, in uno spazio riempito con un labirinto a più piani fatto di tubi innocenti.
Lei e Raf Simons non hanno mai seguito la strada battuta, ma l’impatto dello show è stato notevole anche per i loro standard. La base? Nessuna regola. «Siamo entrambi abituati a lavorare per narrative, concetti e idee che, alla lunga, diventano limiti da non valicare», riflette Simons. «Perciò stavolta ci siamo basati solo sul nostro istinto, inserendo unicamente quello che ci piaceva». In un momento di generale cautela, è un approccio che fa pensare. Anche se, secondo la stilista, non è così lontano da ciò che lei fa abitualmente. «Dico sempre che le donne ragionano d’istinto: è come se avessero un computer interiore che dà la risposta migliore in base alla logica, alle esperienze e alla cultura di ciascuna. Quella data d’impulso è la risposta più vicina a ciò che sei, perché nasce dal tuo vissuto. Perciò non penso ci sia contrapposizione tra logica e istinto; è che in questo momento, il secondo è più importante».
Dai vestiti in passerella è semplice capire cosa intendano i due: i loro ragazzi, che sfilano sulle colonne sonore di Stanley Kubrick e David Lynch, hanno addosso pigiami a righe e vestaglie tartan spiegazzate ad arte, cappotti di tweed pesante e giacche da smoking portati sul petto nudo, pullover ricamati come camicie western e completi di pelle patchwork. Ai piedi hanno ingombranti stivali texani, e usano tanta, tantissima pelliccia (in realtà è montone): sui colli, sulle maglie, dentro i soprabiti, persino come top, con i drappi di pelo allacciati alla bell’e meglio. Il risultato ha un tocco di selvaggio. «Non dico che siano uomini delle caverne, ma alla fine, quando vuoi tornare alle origini, ti attacchi a quello che sei, alla tua essenza e ai tuoi sentimenti», prosegue Prada. «Mantenere idee e passioni è una forma di romanticismo radicale molto potente».
Con il loro show, Prada e Simons hanno dato forma al moto di cambiamento che ha investito il sistema moda. In inglese si chiama vibe shift ,ed è quel mutamento di sensibilità e gusti che avviene periodicamente: preso atto che la crisi dei consumi in corso non è passeggera, i creativi reagiscono trasformando il modo di lavorare e cercando nuove forme per esprimersi. Più vere, meno studiate e orientate al marketing. «È il momento di spingere e rischiare, sia per i grandi brand che per i piccoli indipendenti», riflette il presidente della Camera della Moda Carlo Capasa. «I concorrenti degli stilisti oggi sono esterni al sistema, sono le agenzie di viaggio e i negozi di design: il pubblico vuole sognare, e la moda in questo è sempre stata bravissima. Deve riprendersi il primato che le spetta: soprattutto quella italiana, la migliore del mondo».
Più facile a dirsi che a farsi. Ma Capasa ha ragione, perché i creativi stanno reagendo proprio così: rischiando. Alla paura si è sostituita la voglia di agire, e nessuno in queste giornate milanesi l’ha espressa meglio di Simone Botte e Filippo Biraghi con il loro Simon Cracker. La collezione, intitolata “Le perle ai porci”, è una feroce satira della vacuità dei consumi. «La cosa che conta è apparire. Dunque, abbiamo riprodotto tutti gli status symbol a cui si va dietro solo per fare bella figura. Tanto non importa che siano veri o meno: basta che ci siano», spiegano i due. Le giacche Chanel sono blazer maschili aerografati, le Birkin di Hermès sono disegnate sui sacchetti di tela, e l’ultimo look è fatto solo delle etichette degli abiti che Biraghi ha acquistato negli anni: perché è il logo che conta. La loro è una furia giustificata, ma è anche vero che, di stagione in stagione, sono più precisi e rifiniti: speriamo tengano duro. Uno che va dritto per la sua strada da sempre è Luca Magliano. I suoi personaggi poetici e malinconici passeggiano per i lungomare dell’Adriatico sferzato dal vento invernale. Il creativo spiega: i colori sono spenti, le giacche monopetto un po’ sformate, i pantaloni sembrano sul punto di scivolare. Una critica che gli si può muovere è che il suo immaginario non cambia mai; ma, d’altro canto, la chiarezza della sua visione è ammirevole. Ancora di più adesso, con il settore nel caos. Ammirevole anche che, ad applaudirlo, ci siano i creativi suoi coetanei: Sabato De Sarno di Gucci, Adrian Appiolaza di Moschino, Veronica Leoni di Calvin Klein, Simone Bellotti di Bally. Bello, il sostegno tra colleghi.