Una delle regole auree della strategia di comunicazione di Benjamin Netanyahu è quella di apparire il più possibile nelle occasioni di festa e il meno possibile quando si tratta di fare i conti con le disgrazie. Non mancano per esempio foto che lo ritraggano insieme a Noa Argamani, la giovane israeliana divenuta un’icona dopo essere stata rapita in motocicletta dai miliziani palestinesi e poi liberata dalle forze speciali israeliane lo scorso giugno nel cuore di Gaza.
Non ci saranno invece immagini del premier alla cerimonia solenne con cui mercoledì l’esercito israeliano ha ricevuto le bare di quattro ostaggi israeliani, rapiti il 7 ottobre 2023 e deceduti durante i 16 mesi di guerra sulla striscia. La disdetta di Bibi sarebbe arrivata durante la notte: meglio associare il proprio volto ai successi, deve aver pensato, ed evitare foto che possano passare alla storia come simbolo di tragedie.
Madre e figli
Fra gli israeliani restituiti senza vita ci sono infatti i più tristemente noti: i bambini Ariel e Kfir Bibas, gli ostaggi più piccoli, rapiti quando avevano rispettivamente quattro anni e nove mesi. E poi la madre, Shiri Bibas, la cui felpa di Batman, resa famosa da una foto di famiglia, è divenuta emblematica durante le mobilitazioni per il loro rilascio, tanto quanto i capelli rossi dei suoi bambini.
Il quarto ostaggio ad aver fatto ritorno senza vita è l’anziano pacifista Oded Lifshitz, 83 anni, giornalista in pensione fra i fondatori del kibbutz di Nir Oz. In uno dei suoi ultimi articoli Lifshitz criticava proprio Netanyahu per i metodi studiati con cui costruisce la propria immagine. «Benjamin Netanyahu è un mago delle pubbliche relazioni», scriveva. «Riesce a vendersi a sostenitori ed oppositori come il signore della sicurezza».
Da parte loro i militanti di Hamas anche questa volta, come nelle occasioni precedenti, non hanno voluto fare a meno di una messinscena. Invece di trasferire i cadaveri con discrezione hanno esibito le bare su un palco di fronte a una gigantografia di Netanyahu in versione Dracula mangia-bambini. Il messaggio chiariva l’intento dell’iconografia: ribadire come i Bibas e Lifshitz siano stati uccisi dai bombardamenti a tappeto israeliani, non dai militanti di Hamas. Una possibilità probabile, quandanche difficile da verificare, che comunque ignora l’infamia del loro rapimento.
«Il criminale di guerra Netanyahu e il suo esercito nazista li ha uccisi coi missili degli aerei da guerra sionisti», si leggeva sul poster. Non mancava anche un messaggio a Trump, stampato sui resti di un razzo esibiti dai miliziani. «Sono stati uccisi da bombe americane». Ai due lati del palco un poster guardava al passato, citando i numeri atroci dell’offensiva israeliana su Gaza. E un altro era un avvertimento sul futuro della tregua: «Il ritorno alla guerra vorrà dire il ritorno nelle bare di altri ostaggi israeliani».
Il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar lo ha definito «un altro spettacolo orrendo e repellente, prodotto di menti distorte e meschine». «È evidente», ha aggiunto, «che l’avvelenamento sistematico della generazione di giovani nella società palestinese elimina ogni possibilità di pace».
Sulla via del ritorno, lungo la strada 232 che costeggia il perimetro orientale della Striscia di Gaza, centinaia di israeliani assiepati aspettavano in silenzio il passaggio del convoglio. Sotto la pioggia sventolavano le bandiere gialle simbolo del movimento per la liberazione degli ostaggi, si vedevano l’arancione dei capelli dei Bibas e gli stendardi israeliani.
Sabato, nel frattempo, è previsto l’atto conclusivo della fase uno della tregua. Sarebbe dovuta durare sei settimane ma è stata accelerata nella parte finale. Dovrebbero essere rilasciati sei ostaggi israeliani vivi, di cui quattro rapiti il 7 ottobre e due entrati di loro sponte a Gaza un decennio fa. Si tratta di un israeliano arrivato a 5 anni dall’Etiopia, il trentottenne Avera Mengistu, e di un beduino originario del deserto del Neghev, il trentaseienne Hisham al-Sayed. Da allora sono nelle mani di Hamas a Gaza. Entrambi soffrirebbero di problemi mentali, secondo i media locali.
Mistero sulle trattative
Le trattative sulla restituzione degli ostaggi, sulla liberazione dei prigionieri palestinesi e sul cessate il fuoco rimangono avvolte nel mistero. Una petizione rivolta alla Corte Suprema perché il testo dell’intesa venga reso pubblico è stata respinta e, in ogni caso, i dettagli della fase due e tre dovevano vengono concordati in divenire.
È probabile Hamas abbia ottenuto qualcosa in cambio dell’avanzamento nel processo di rilascio degli ostaggi, oltre all’ingresso a Gaza di case mobili, tende e macchinari pesanti per rimuovere le macerie. Ma resta il problema di fondo: parte dal presupposto che Hamas debba essere completamente eliminato da Gaza, ma è proprio con gli islamisti che deve negoziare.
Su Netanyahu pesa come sempre la pressione degli alleati guerrafondai, decisi a far saltare la tregua. Ma d’altronde, come durante tutto il corso della guerra, i sondaggi parlano chiaro: gli israeliani vogliono riportare a casa, vivi o morti che siano, tutti gli ostaggi. E questo è un aspetto che Bibi difficilmente si lascerà sfuggire.