Bruxelles impone l’austerità e ci riporta all’èra dei fossili
21 Luglio 2022News, press
21 Luglio 2022di Marcello Sorgi
Vergogna! Non c’è altra parola per definire il modo in cui è stato affossato al Senato il governo Draghi. Cinque giorni dopo il “no” di Conte e del Movimento 5 stelle, è arrivato anche quello di Salvini e della Lega, con al seguito Forza Italia e il cosiddetto “centrodestra di governo”. La legislatura si chiude come s’era aperta, con l’ultima disperata scorribanda del tandem dei due partiti populisti, fortunatamente fiaccati dalla perdita dei consensi, sull’onda dei quali avevano vinto le elezioni del 2018. È come se si fosse aperta una voragine e insieme al governo di unità nazionale ci fosse finita dentro quel gran pezzo d’Italia che a prezzo di sacrifici aveva cercato di riguadagnare credibilità in Europa e nel mondo, grazie alla fiducia riposta a qualsiasi livello nell’uomo che ieri è uscito di scena. Bastava guardare ieri sui monitor i maggiori siti internazionali e quelli dei giornali stranieri per capire che la notizia della caduta di Draghi ha lasciato attoniti gli osservatori stranieri, incapaci di comprendere e accettare la congiura che ha fatto cadere la testa del premier.
Tutto è maturato in poche ore, dopo le comunicazioni di Draghi ai senatori. Un discorso secco, nei toni e nei contenuti, nel suo stile. Tutto puntato sui doveri dell’Italia verso se stessa e sulla necessità, per le due estremità della larga maggioranza che sosteneva il governo, di ritrovare le ragioni per andare avanti. Accettando di fare i conti anche con provvedimenti impopolari ma necessari, come la riforma della concorrenza (leggi: balneari e tassisti) e di riscrivere leggi “malfatte”, come il reddito di cittadinanza e il superbonus per le ristrutturazioni edilizie. Draghi ha concluso ricordando la larga solidarietà ottenuta dal governo in questi giorni difficili e invitando i senatori a tenerne conto, al momento di decidere. La risposta del centrodestra a queste parole di verità è stata, prima l’irritazione e i mugugni manifestati subito nell’aula di Palazzo Madama, poi un ennesimo vertice a casa di Berlusconi, che a sentire i presenti è stato tutto uno sfogatoio contro Draghi e sulla necessità di liberarsene. Berlusconi ha cercato, come la sera precedente, di calmare gli animi, poi ha capito l’aria e s’è adeguato. Che “l’esecuzione” del governo fosse decisa, s’è capito immediatamente nel pomeriggio, alla ripresa dei lavori, quando i più preoccupati di quel che stava per accadere hanno cominciato a dirlo in giro per i corridoi del Palazzo. Cosi sono arrivati gli interventi in aula, di tono inequivocabile. Inutili, in una nuova interruzione, si sono rivelate anche le telefonate del Capo dello Stato con Berlusconi, Salvini e lo stesso Draghi: ormai la decisione era presa. L’epilogo è stato un complicato, quanto inutile, ricorso ad espedienti regolamentari per far sì che il voto misurasse l’esigua pattuglia di senatori (del Pd, di Italia viva e pochi altri) rimasti fedeli al premier. Il quale ha atteso serenamente che la sorte si compisse, come se non vi vedesse altro che la conferma dei suoi timori.
Si apre adesso una campagna elettorale estiva (si voterà molto probabilmente il 2 ottobre) tra le più complicate e rischiose degli ultimi anni, se non decenni. Bastava seguire le dichiarazioni di voto al Senato per capire che i partiti fino a ieri stretti in un’alleanza complicata ma indispensabile: all’inizio si rinfacceranno la colpa di aver fatto cadere il governo, senza alcun timore di mentire rispetto all’evidenza. Poi passeranno a chiedere voti contro l’Europa e i limiti imposti da un percorso di risanamento, appena cominciato per l’Italia, e che prevedeva, come si sa, una serie di aiuti consistenti (i miliardi del Pnrr) a fronte di rinunce importanti ma in futuro fruttuose. Quando si cercherà di collocare Draghi nella storia recente dei presidenti del consiglio italiani si capirà – in realtà è chiaro già adesso – che “SuperMario” ha rappresentato l’ultimo baluardo italiano per non far scattare le misure di rigore che Bruxelles impone ai Paesi membri fuori da ogni regola di bilancio. L’Italia ha approfittato del Covid e dell’emergenza economica che ne è seguita per ingigantire un debito pubblico insopportabile, giunto oltre il 150 per cento, che ora che l’emergenza si avvia a finire dovrà cominciare a pagare. La crescita dello spread nelle prime ore dopo la caduta del governo, l’andamento oscillante dei titoli pubblici italiani, alla vigilia delle decisioni che la Banca centrale europea oggi prenderà in materia, sono solo l’assaggio delle conseguenze che la crisi potrà portare. Tal che si può dire – magra consolazione – che Draghi è caduto in piedi, ma l’Italia, ancora una volta, rischia di affondare.