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18 Aprile 2025L’analisi
Le iperboli non sono mancate, soprattutto da parte di Donald Trump. «She’s a great woman», è una donna eccezionale. Meloni è «una dei più grandi leader mondiali» ha ripetuto il presidente americano. «È bello sentirti parlare in italiano» ha aggiunto. Parole ricambiate dalla nostra premier, che ha debuttato nello Studio Ovale ricordando(si) di avere di fronte un «business man» abile e spregiudicato anche nelle vesti di politico eletto. Enfasi e apprezzamenti che certamente fanno piacere e dimostrano un clima di grande cordialità, cosa non scontata viste le recenti performance del tycoon alla Casa Bianca. Meloni ha tenuto il punto su Putin, Trump ha bluffato sugli «europei parassiti» fingendo ancora una volta di non ricordare. Distinguo che dimostrano che le distanze esistono. Che ci sia un asse privilegiato tra Roma e Washington, è un dato di fatto. Merito del comune sentire ideologico e della capacità di parlare con efficacia al proprio elettorato. Lo stesso percorso di ascesa al potere ha visto Trump e Meloni vestire prima i panni dell’underdog, poi dell’outsider, infine
del capo di uno schieramento e di un governo. Anche l’intesa personale tra i due leader è parsa reggere davanti alle telecamere: più a suo agio ovviamente il padrone di casa, guardinga ma comunque determinata la presidente del Consiglio. Dunque, tutto bene?
Occorrerà tempo per capire cosa è successo, cosa ha funzionato e cosa no. Se la forma è salva, la sostanza dei messaggi che si sono inviati i rispettivi staff e le alte diplomazie andrà misurata nelle prossime settimane, forse già a partire da oggi, visto l’arrivo del vicepresidente JD Vance in Italia. Su Ucraina, riarmo e ruolo dell’Europa lo spartito non è cambiato e la sensazione è che doti come prudenza e moderazione non basteranno a lungo: prima o poi occorrerà scegliere per il nostro governo da che parte stare. E se sui dazi è evidente il tentativo italiano (un po’ imbarazzato) di voler limitare i danni («troviamoci a metà strada») a preoccupare resta l’agenda comune sui migranti e sulla chiusura delle frontiere: i segnali di disumanità provenienti da oltreoceano, con manette e deportazioni, non possono certo essere un viatico né per l’Italia né per l’Europa.