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18 Aprile 2025Eternit bis, Schmidheiny condannato a 9 anni
Inquinamento La pena di primo grado è stata ridotta ma l’accusa di omicidio colposo ha retto
TORINO
Sale in macchina alla volta di Casale Monferrato quando ha appena smesso di piovere, dopo una giornata di allerta rossa. Bruno Pesce (uno dei leader della lotta all’Eternit) misura le parole: «Siamo soddisfatti perché temevamo il peggio. L’impianto accusatorio del primo grado è rimasto intatto. Ora speriamo che la Cassazione non ci dia una nuova batosta». Ha appena assistito, al Palagiustizia di Torino, all’ennesimo capitolo di una vicenda senza finale. Soprattutto, ancora senza giustizia.
La Corte di assise d’appello del capoluogo piemontese, presieduta dalla giudice Cristina Domaneschi, ha condannato il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, unico imputato nel processo Eternit bis, a 9 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo riducendo la pena di primo grado, inflittagli nel giugno del 2023 a Novara, di 12 anni di carcere. La procura generale aveva chiesto l’ergastolo puntando a far riconoscere l’omicidio con dolo eventuale, che avrebbe visto tempi di prescrizione ben più lunghi.
Il procedimento riguardava inizialmente la morte per mesotelioma di 392 persone, di cui 62 lavoratori dell’Eternit di Casale (chiusa nel 1986 lasciando una scia infinita di veleni) e 330 residenti nelle zone limitrofe, cittadini che non avevano mai messo piede nella fabbrica della morte. In primo grado Schmidheiny era stato riconosciuto colpevole di 147 casi e assolto da 46, mentre 199 erano stati dichiarati prescritti. Ieri è stato assolto da altri 29 casi e la prescrizione è scattata per ulteriori 29. È stato quindi condannato per 89 morti. I giudici d’appello, così come i loro colleghi di Novara, hanno optato per l’omicidio colposo. Sono numeri comunque insufficienti a spiegare una strage continua perché, sottolinea Pesce, storico sindacalista Cgil e uno dei volti dell’Afeva (l’associazione dei familiari delle vittime), a Casale si è continuato a morire. Sono 414 i morti di mesotelioma nella cittadina piemontese dal 2017, quando fu chiusa l’indagine relativa all’Eternit bis. Tutti morti che sono fuori dal processo: tutti cittadini, nessun lavoratore, molti avvelenati dal polverino (materiale di scarto utilizzato a fini edilizi) sparso per il territorio.
«Si è parlato tanto durante il dibattimento – aggiunge Pesce – del nesso causale. Se le vittime sono morte per le fibre del precedente padrone belga, il barone Louis De Cartier, o per la gestione Schmidheiny, dal 1976 in poi. Quest’ultimo non ha fatto nulla per la bonifica e, la scienza lo dice per certo, più si prolunga l’esposizione più aumentano i rischi. Siamo, lo ripeto, soddisfatti che la sentenza di primo grado sia rimasta in piedi perché le ultime vicende ci avevano preoccupato. A marzo la Cassazione aveva annullato di nuovo la condanna a Schmidheiny per la morte di un operaio di Cavagnolo. Temevamo che i recentissimi casi condizionassero il giudizio della Corte di assise d’appello, così non è stato. Ci auguriamo che in Cassazione ci sia finalmente un’affermazione di giustizia». La difesa del magnate ha già annunciato ricorso. La procura torinese sottolinea il riconoscimento delle sue responsabilità: «I trionfalismi non appartengono all’ufficio del pubblico ministero», ha detto Lucia Musti, procuratore generale del Piemonte. Con la sentenza di ieri sono stati ridimensionati i risarcimenti alle parti civili, che in primo grado superavano i 100 milioni. Al comune di Casale Monferrato sono stati assegnati 5 milioni di euro, alla presidenza del Consiglio dei ministri 500 mila.
La città di Casale spera di ottenere giustizia, non sarà facile: il rischio prescrizione è, in questo caso, infido. Il maxi processo sul disastro ambientale che coinvolgeva anche Rubiera, Bagnoli e Cavagnolo arrivò nel 2014 a una triste prescrizione. Lo sanno bene i cittadini: quando stai male pensi subito al peggio. Ecco perché accanto alla lotta per la giustizia, non deve venir meno quella per la bonifica e la ricerca.