Nessun rimpianto in un quarto di secolo, sottolinea Putin, e nessun ripensamento sulla invasione dell’Ucraina, anzi: rivendica l’annessione della Crimea nel 2014 e si rammarica che all’epoca «la Russia non era pronta a uno scontro frontale con l’Occidente collettivo». Sfida che oggi invece «porta avanti praticamente da sola», perché «queste sono le circostanze storiche», dopo aver capito già all’inizio della sua carriera politica «la perfidia del nostro avversario geopolitico». Nessun accenno alla pace e alla tregua, se non in un lontano futuro: alla domanda dell’intervistatore, Putin si dice convinto che «la riconciliazione con la parte ucraina del popolo russo sia inevitabile, è una questione di tempo, nonostante tutta la tragedia di oggi». Non l’Ucraina, come Stato o come popolo, ma gli ucraini come «popolo russo», da riportare a casa dopo che – come viene dichiarato nello stesso documentario – le trame occidentali hanno tentato di strappare alla Russia quelli che ritiene i suoi territori storici. Gli ucraini vengono definiti «neonazisti», gli europei «hanno fregato i russi» con gli accordi di Minsk, e l’Occidente «vuole da sempre sottomettere la Russia, da un secolo all’altro», con una lista di torti che Putin ormai fa risalire al 988, quando la Rus’ di Kyiv si convertì al cristianesimo di Bisanzio. Ed è sempre l’Occidente ad aver «tentato di provocarci a fare un errore» e ricorrere alla bomba atomica, arma «della quale non c’era e speriamo non ci sia bisogno, possiamo ottenere i nostri obiettivi in Ucraina senza queste armi».
Non c’è nulla di casuale nella sceneggiatura che abbina, sui teleschermi dei russi, l’anniversario del regno putiniano, e l’80simo anniversario della vittoria sul nazismo, le cui celebrazioni culmineranno il 9 maggio con una parata in piazza Rossa alla quale il Cremlino spera di radunare i suoi alleati internazionali, capitanati dal «partner strategico» Xi Jinping. “Putin” e “vittoria” devono diventare sinonimi nella mente dei russi, e l’intervista viene intervallata da immagini di platee oceaniche che osannano il presidente, truppe che vanno all’attacco degli ucraini e dei ceceni, successi sportivi russi ed esultanza in piazza per l’annessione della Crimea, con sottofondo di musica sinfonica e canzoni della Seconda guerra mondiale. L’iconografia militare predomina, con immagini di Putin con i soldati, missili lanciati contro l’Ucraina e bambini che intrecciano reti mimetiche per il fronte ucraino, il vocabolario trabocca di «eroi», «nemici», «sacrificio», e la vedova di un ufficiale racconta in lacrime al leader russo che «il compimento supremo della nostra famiglia è stato dare la vita di mio marito alla patria». Ma «i russi sono spiritualmente diversi dagli occidentali, hanno il bisogno di rivolgersi a valori superiori, non materiali», sostiene Putin, che racconta di inginocchiarsi a pregare nella cappella privata del suo appartamento al Cremlino.
Un ritratto dalle tinte trionfalistiche, che si presenta non solo come un’ode al leader, ma anche un programma per il futuro: la Russia di Putin non sembra avere alcuna intenzione di fare un passo verso la distensione, e la guerra di invasione contro l’Ucraina appare non più una «operazione militare speciale», ma una necessità dettata dalla storia stessa, il momento più alto dei 25 anni di governo putiniano. Tanto più sorprendente appare l’improvviso accenno a un «delfino», dopo che nel 2020 Putin aveva chiuso il dibattito sulla sua successione con il referendum costituzionale che gli aveva regalato altri due mandati da sei anni ciascuno al Cremlino, con il monito alla nomenclatura russa a «non guardarsi più intorno» in cerca di un nuovo padrone. Resta da capire se Putin sta davvero pensando alla pensione, o se più probabilmente vuole riaprire le lotte per il trono come un test di lealtà per i suoi cortigiani.