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Thiel e i trumpiani se ne appropriano, suo malgrado. René Girard, l’avignonese profeta della peste woke e dei social esule in America
di Giulio Meotti
Oggi un singolo post sui social può rovinare una carriera. Può persino far cadere un governo, se le stelle sono allineate. Folle feroci si radunano online all’istante, nuove ideologie si formano dall’oggi al domani e la cultura della cancellazione punisce chi dissente. Questo mondo nuovo, precario e pericoloso, è quello in cui viviamo. Ma decenni prima che qualcuno sentisse parlare di tutto questo, uno studioso di letteratura francese di Stanford ci aveva messo in guardia. “Quando il mondo intero sarà globalizzato, si potrà incendiare tutto con un fiammifero”, scrisse René Girard.
Girard organizzò un simposio sullo strutturalismo alla Johns Hopkins nel 1966. Jacques Lacan tenne un discorso incoerente in un inglese storpiato, ma a trionfare fu un giovane filosofo francese, Jacques Derrida, che aveva appena iniziato a “decostruire” i grandi schemi del pensiero come semplici creazioni del “discorso”. Grazie a Girard, il post-strutturalismo arrivò in America e da allora regna incontrastato all’interno delle discipline umanistiche. Girard la chiamerà “la peste”. Come Freud, arrivato in America nel 1913 per fare proselitismo in psicoanalisi, disse a Carl Gustav Jung: “Non sanno che gli stiamo portando la peste”.
Se nel 1979 con “La condizione postmoderna”, Jean-François Lyotard scriveva che le grandi narrazioni avevano smesso di convincere, Girard si spinse nella direzione opposta, costruendo un apparato teorico che apertamente gareggiava non solo per soppiantare quelli di Marx e Freud, ma per fare per la cultura ciò che Darwin aveva fatto per la natura.
In un container al porto di San Francisco, l’immensa biblioteca di Girard attende. Dalla sua morte, nel 2015, tutti i suoi libri sono rimasti a Palo Alto, in California. Arriveranno presto in Francia, dove saranno conservati presso la biblioteca di Avignone, la sua città natale. Due anni dopo il trasferimento delle ceneri di Girard nella tomba di famiglia, l’operazione completerà il rimpatrio di un pensatore che ha vissuto tutta la sua vita oltreoceano.
L’influenza di Girard cresce negli Stati Uniti a dieci anni dalla morte: il vicepresidente J.D. Vance lo cita e il miliardario Peter Thiel, figura di spicco del conservatorismo, ne rivendica l’eredità. L’antropologo noto per le sue teorie sul capro espiatorio e il desiderio mimetico è diventato, suo malgrado, il nuovo maestro della destra americana. E’ raro che gli scritti di un pensatore europeo raggiungano i vertici del potere americano (si ricordano l’influenza di Herbert Marcuse sul Sessantotto di Berkeley e di Leo Strauss sul neoconservatorismo).
Girard nacque ad Avignone, antica città sul Rodano racchiusa da mura medievali, dove i secoli aleggiano nell’aria. Nel XIV secolo, sette papi vissero in questo nido di intrighi e crisi politiche. Suo padre, un repubblicano irreligioso e anticlericale, voleva per lui un futuro da archivista, un futuro che Girard non desiderava. Ma seguì le orme del padre all’École nationale des chartes, la grande scuola per la formazione di archivisti e bibliotecari. Poi arrivò la Seconda guerra mondiale, con i suoi orrori e le sue privazioni: “L’eclissi della cultura”, la definì Girard. Alla fine della guerra, l’America setacciava l’Europa alla ricerca di giovani brillanti. Il ventiquattrenne Girard, con le sue credenziali da grande scuola, partì per gli Stati Uniti nel settembre del 1947. Voleva avventure e un’auto americana. Trovò entrambe.
All’Università dell’Indiana, Girard scoprì un campus lussureggiante e verdeggiante, indenne dalla guerra e ricco di nuove opportunità. Conseguì il dottorato in storia a Bloomington. Lì trovò anche la sua futura moglie, Martha McCullough, studentessa in uno dei suoi primi corsi. Il matrimonio sarebbe durato 64 anni, da cui nacquero tre figli, e terminò con la sua morte. Nelle sue opere, il filosofo francese dimostrò che il segreto della violenza non risiede né nei rapporti sociali (Marx), né nella volontà di potenza (Nietzsche), né nell’inconscio (Freud), ma nel cuore delle relazioni tra gli esseri umani. Girard ha ridato da leggere
a una generazione i classici che avevano lasciato a prendere polvere in un angolo del caos globalizzato.
Oggi nella Silicon Valley, il suo lavoro è ammirato anche per il potenziale economico delle sue intuizioni. Come ha scritto il critico culturale Ted Gioia: “Dubito che Girard volesse influenzare i capitalisti della Silicon Valley o gli esperti di social media, ma sta succedendo. Girard ha dedicato la sua vita a svelare le bugie dietro mode e tendenze. E ora, dopo la sua morte, è di moda e tendenza. E’ quasi come una sorta di punizione”.
Il rapporto tra Peter Thiel e Girard era prima di tutto personale. Thiel arrivò a Stanford nel 1985, dove conseguì la laurea triennale e si laureò in giurisprudenza. Erano gli anni in cui i protagonisti del programma “Western Civilization” di Stanford (un corso in cui gli studenti leggevano i grandi testi da Platone a Freud) venivano sfidati dai gruppi multiculturali di sinistra. Thiel era dall’altra parte, con Girard e il canone occidentale: fondò la rivista libertaria Stanford Review e, insieme a un compagno di studi, il futuro milionario David O. Sacks, scrisse “The Diversity Myth”. Thiel vi interpretava il multiculturalismo, la “diversità” e il politicamente corretto come un nuovo conformismo: le rivoluzioni degli anni 60 avevano creato una nuova ortodossia che dichiarava guerra alle tradizioni.
Girard, che navigava la storia intellettuale da Gilgamesh a Proust, era un dissidente e un antidoto, proprio per il suo ritorno alla tradizione. “Più che mai, sono convinto che la storia abbia un significato e che il suo significato sia terrificante”, dirà Girard. Per Thiel, la teoria mimetica girardiana fungeva da specchio per il nuovo conformismo. Il rapporto di Thiel con Girard è sintomatico di un momento particolare nella storia della Silicon Valley. La generazione di Steve Jobs era stata plasmata dalla controcultura di sinistra; Thiel la vedeva come un nuovo conformismo. Thiel sarebbe tornato a Stanford per insegnare un corso al dipartimento di Tedesco dell’università. Gli studenti del corso “Sovranità e limiti della globalizzazione e della tecnologia” hanno letto Girard insieme a Carl Schmitt e la lezione di Ratisbona del 2006 tenuta da Benedetto XVI.
Thiel avrebbe frequentato Girard nei successivi vent’anni. Nel 2008 ha fondato persino Imitatio, un fondo filantropico il cui obiettivo è finanziare studi e ricerche girardiane sul desiderio mimetico, in tutte le discipline. Dopo la morte di Girard, Thiel tenne un discorso in occasione della commemorazione nel campus di Stanford, insieme al figlio del professore, Martin Girard. Come ha ricordato Kieran Keohane sulle pagine di Le Grand Continent, nel luglio 2004 Peter Thiel e Girard organizzarono anche un seminario su “Politica e Apocalisse” a Stanford.
Da dove provenivano le grandi speculazioni di Girard? La biografia scritta da Cynthia Haven, “Evolution of desire”, racconta che Girard aveva assistito al capro espiatorio dei francesi “collaborazionisti” ad Avignone, dopo la liberazione. Aveva trascorso un anno nel sud degli Stati Uniti, a Duke, quando avvenivano i linciaggi dei neri, con l’omicidio di Emmett Till. Difficile immaginare uno più lontano dagli eccessi politici trumpiani. Eppure, Girard ha persino anticipato il woke. Nel suo libro “Vedo Satana cadere come la folgore”, Girard scrisse che un valore fondamentale “domina l’intera cultura planetaria in cui viviamo”, molto più del progresso tecnologico o della crescita economica: “La preoccupazione per le vittime”. Come Girard aveva già percepito nel 1999, viviamo sotto il regno del “vittimismo”, che usa l’ideologia della cura per le vittime per ottenere potere.
Alla morte di Girard, in un articolo sul New York Times Thiel spiega come le idee dello studioso hanno plasmato anche la sua fortuna: “Facebook si è diffuso tramite il passaparola e si basa sul passaparola, quindi è doppiamente mimetico”. Thiel aggiunge: “I social si sono rivelati più importanti di quanto sembrasse, perché riguardano la nostra natura”. Comprendere la nostra natura si è rivelato redditizio, per Thiel almeno. Alcuni vedono il suo finanziamento di Facebook come un’applicazione della teoria mimetica girardiana: i social permettono al mondo di contrapporsi e globalizzano l’imitazione del desiderio. Oggi la tecnologia ci permette di suscitare invidia e accuse su scala planetaria e di annientarci a vicenda anche su quella scala.
“Come Nietzsche, mi chiedo se Girard non sia il pensatore del XX secolo che sarà molto importante anche nel XXI”, ha dichiarato Thiel nel documentario “Things Hidden: The Life and Legacy of René Girard”, uscito nel 2023. Girard è stato definito il “padrino del like”, eppure era del tutto indifferente alla viralità. Girard era assorto nella lettura, nella riflessione e nella ricerca. Ha corteggiato l’oscurità ed è rimasto in gran parte sconosciuto persino nel campus di Stanford. Era il tipo di pensatore che Isaiah Berlin avrebbe definito un riccio, non una volpe. La sua popolarità è frutto solo delle circostanze. Ebbe l’idea giusta al momento giusto nel posto giusto: Stanford, la principale università della Silicon Valley.
Nel 2011 Thiel tiene a Yale una lezione sul desiderio mimetico. Nel pubblico c’è Vance, studente di giurisprudenza, che rimane affascinato dall’intervento dell’investitore. E’ così che il futuro vicepresidente venne introdotto al pensiero di Girard. Dopo aver lavorato per due anni come avvocato, Vance si è trasferito a San Francisco, dove Thiel lo ha assunto nel suo studio legale, Mithril Capital, prima di finanziare la sua campagna per il Senato del 2022 con quindici milioni. I due hanno poi stretto amicizia. Girard è una delle letture chiave che hanno spinto il vicepresidente, nato in una famiglia evangelica, a convertirsi al cattolicesimo.
Era proprio la sua marginalità a rendere Girard interessante: era una voce che gridava nel deserto. I girardiani lo trattano ancora oggi come un profeta ed è chiaro che il suo pensiero è più adatto ai conservatori che ai progressisti: il pessimismo sulla natura umana, la sfiducia nelle rivoluzioni, l’importanza della forza della tradizione e la critica alla modernità e al relativismo. Ma la complessità e la sottigliezza delle sue teorie sono ben lontane dal semplicismo brutale dei trumpiani. Ed è un eufemismo dire che la sua vita non era proprio trumpiana. Girard dormiva sonni tranquilli e raccontarlo equivale a raccontare i suoi libri. Un uomo che affermava di vivere nella sua testa. Girard resta un meteorite nel nostro cielo intellettuale. Anche se la teoria mimetica aleggia sulla Silicon Valley come uno Zeitgeist, il suo collega a Stanford, il professor Joshua Landy, ha scritto un articolo crudele ma giusto: “Perché esistono i girardiani?”. Le ragioni del suo successo: “Una teoria a buon mercato”.
La madre di Girard gli diceva sempre: “Les gens sont mauvais”, le persone sono malvagie. Girard non era pessimista come la madre, ma il suo ultimo avvertimento, che si trova alla fine del suo libro “Il capro espiatorio”, è inequivocabile: “E’ giunto il momento di perdonarci a vicenda. Se aspettiamo ancora, non ci sarà più tempo”. Il nostro mondo postmoderno è pieno di concetti girardiani impazziti.
In un container al porto di San
Francisco, l’immensa biblioteca di
Girard attende il ritorno ad
Avignone, dove riposano i suoi resti “Girard ha dedicato la vita a svelare le bugie dietro mode e tendenze. E ora è alla moda e di tendenza. Una sorta di punizione”
Era il tipo di pensatore che Isaiah
Berlin avrebbe definito un riccio, non una volpe. Ha corteggiato tutta la vita l’oscurità
Girard resta un meteorite nel cielo intellettuale, anche se la sua teoria mimetica aleggia sulla Silicon Valley come uno Zeitgeist