
Le opere d’arte sacra in mostra sull’Amiata
13 Maggio 2025Il Palazzo delle Papesse e la cultura pubblica: una lezione ancora viva
Una riflessione su una stagione culturale interrotta, su ciò che ha significato e su ciò che, silenziosamente, ancora può insegnarci.
di Pierluigi Piccini
Molto di quello che è successo nel mondo della cultura negli ultimi vent’anni dipende da come sono stati formati i decisori e da come funziona l’economia che li circonda. Dove sono mancate visione e autonomia, si è andati verso scelte facili, immediate, pensate per piacere o per ottenere consenso. In questo clima, chi faceva cultura in modo indipendente, sperimentale o educativo è stato spesso messo da parte.
Eppure, alla fine del Novecento, in alcune città italiane si è provato a fare qualcosa di diverso. In un contesto ricco di storia, nacque un centro culturale che seppe coniugare arte contemporanea, educazione, memoria e territorio. Non era un museo tradizionale né un contenitore per eventi. Era un luogo dove si studiava, si progettava, si collaborava. Un laboratorio dove l’arte entrava in dialogo con la città, con le scuole, con le persone.
Era un’esperienza coraggiosa e complessa, ma concreta. Produceva sapere, formava competenze, creava reti. Era anche una risorsa innovativa per l’economia locale, perché investiva sulle persone e sul lavoro culturale, aprendo spazi nuovi alla creatività.
Poi il contesto è cambiato. I fondi sono diminuiti e la grande fondazione bancaria, che avrebbe dovuto sostenere progetti di ricerca, ha progressivamente orientato le proprie risorse verso una distribuzione diffusa ma poco strategica. Ha iniziato a privilegiare iniziative più visibili e consolidate, spesso legate a logiche di consenso. Le esperienze più rischiose e sperimentali sono rimaste ai margini.
La cultura è tornata a essere vista più come vetrina turistica che come spazio di ricerca. L’arte è diventata decorazione, cornice, intrattenimento. Quel centro, con la sua vocazione formativa e il suo sguardo lungo, ha perso centralità.
Quella stagione, che si è chiusa nel 2008, inattuale allora, è attualissima oggi. Ci ha mostrato che anche una città piccola, anche una realtà lontana dai grandi circuiti, può diventare un laboratorio. Che l’arte può servire non solo a stupire, ma a pensare, a educare, a costruire.
Oggi, in luoghi lontani dai riflettori, ci si sta riprovando. Nelle aree interne, nei territori più fragili, nascono progetti che uniscono cultura, ambiente, lavoro, formazione. Non cercano visibilità, cercano senso. Non promettono tutto, ma aprono spazi.
La lezione di quella stagione è ancora lì. Non fa rumore. Ma resiste. E parla al presente.