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Geppi Cucciari, da Macomer alla Rai, da Sangiuliano a Giuli. E’ la brava presentatrice di sinistra, ma senza retorica
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Non bastava il lavoro usurante (l’ingrato compito di rappresentare la cultura in tv). No, adesso arriva anche l’abbraccio mortale della società civile che chiede solidarietà (da lei non richiesta). Lei è Geppi, al secolo Maria Giuseppina, Cucciari, da Macomer, deep Sardegna, in procinto di diventare icona (sacra) di sinistra, forse è già successo, a sua insaputa, e non volendolo tanto neanche lei. Così la “lettera aperta”, con cui tanti nomi del cinema (tra cui Paolo Sorrentino, Ferzan Özpetek, Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino, Jasmine Trinca, Marco Bellocchio, Mario Martone, Nanni Moretti e Valeria Golino) hanno fatto un (giustissimo) appello al governo perché si salvi il cinema in affanno, ma dall’altra parte avanzano la bizzarra richiesta di solidarietà “perché si fermino le polemiche pretestuose e gli attacchi inaccettabili a chi democraticamente ha mosso critiche all’operato del ministero, come il nostro collega Elio Germano e la nostra collega Geppi Cucciari, ai quali va tutta la nostra solidarietà” l’avranno fatta sorridere, o toccare ferro o legno, con delle scaramanzie sarde.
Ora, che Cucciari Maria Giuseppina abbia bisogno di solidarietà è certo, ma più in quanto presentatrice dei format televisivi più micidiali, che per la censura inesistente o, se esistente, che lei ha sempre dribblato con la sua tipica ironia. Cucciari infatti è specializzata nelle due kermesse telepremiali, Strega e David di Donatello, in cui i tempi morti e la concione del premiato, spesso lo scrittore o l’attore dolente, che non vede l’ora di parlare del suo “percorzo”, e di portare un messaggio, si mischiano con il “ringraziamo l’assessore/presidente/direttore” e i momenti di attesa, i vuoti, i mazzi di fiori e gli ospiti che annaspano nel prato di Valle Giulia o tra gli strascichi a Cinecittà, ucciderebbero pure Totò e Buster Keaton, ma lei riesce a superare il disastro con una vena surreale e grazie alla mancanza di retorica.
Lei è la Grande Improvvisatrice, e sembra anzi molto più a suo agio quando è “off script”, rispetto a quando si trova “chiusa” in una trasmissione molto scritta come “Splendida cornice”; appena terminata su Rai 3 e con una liturgia molto classica da trasmissione di sinistra con tutti gli ospiti giusti che dicono cose giuste, le astronaute femmine, i filosofi Einaudi ecc. Raccontano che lei in trasmissione ha due regole: non invitare gli amici, e non invitare i comici. Fa un’eccezione invece per i personaggi della sua giovinezza televisiva laggiù in quel di Macomer, invitando per esempio Ian Ziering (il vecchio “Steve”) di “Beverly Hills 90210”, trasmissione di culto della sua infanzia di ragazzina targata Mediaset, anche qui dirazzando dalla solita icona di sinistra.
Proprio lei, che poi da adulta si è specializzata in un ruolo, quello di blastatrice di ministri della Cultura (di destra). Proprio allo Strega due anni fa ci fu la celebre gag con Gennaro Sangiuliano delle copertine. Non era ancora scoppiato il caso Boccia, Sangiuliano in teoria doveva aver letto tutti i libri (ma chi l’avrà mai fatto davvero?). Però almeno era tenuto a fingere bene, quello sì. Manco quello. Lo sventurato rispose: “Proverò a leggerli”. Lei, al volo: “Perché, non li ha letti?” “Sì, ma voglio approfondire”. Lo scambio finì con una battuta di Cucciari: “Cioè oltre la copertina… Dentro. Un bell’applauso al nostro ministro”. Forse Genny ha cercato la compagnia della Boccia proprio dopo quel primo trauma, forse la storia del giornalismo e del ministero della Cultura e anche della pronuncia francese dei corrispondenti Rai da Parigi non sarebbe la stessa senza quell’incidente al museo etrusco. Altra gag la settimana scorsa col successore di Sangiuliano, Alessandro Giuli, “molti sottolineano la sua retorica, ma lei è l’unico ministro i cui interventi possono essere ascoltati anche al contrario, come una canzone dei Black Sabbath, e spesso migliorano”, ha detto Cucciari, scherzando sull’eloquio aulico del neoministro, al Quirinale, per i premi David. Giuli però è stato al gioco. “Un saluto a Geppi, che al contrario potrei chiamare anche ‘Ippeg’, senza fraintendimenti”. Poi dopo ci son state le polemiche, le Eliogermanate, le pesantezze sull’egemonia, ma quando c’è Geppi questo non succede (“al mondo del cinema stiamo dando una riconfigurazione. Scusa Geppi se uso la parola riconfigurazione”, ha detto di nuovo Giuli).
Talmente allergica alla retorica che la impiegano sui teatri di guerra della retorica più micidiale, Maria Giuseppina detta Geppi, laureata in Diritto internazionale e che riuscirebbe a trattare, con una battuta forse, tra Putin e Zelensky. Non la mette giù dura, quasi mai. Anche se da dura ha lo sguardo, forse conta anche la sarditudine. Macomer, appunto, famiglia normale, un papà a cui è attaccatissima (la mamma l’ha persa nel 2010); una grande passione per il basket (è stata anche giocatrice professionista, fino alla serie A2, nell’Elmas e nella Virtus Cagliari). La Sardegna è dove ha le sue radici (cit), dove torna ogni estate, a ritemprarsi, ma come icona sarda di centrosinistra – grande filone Berlinguer-Gramsci, chissà Cossiga che le avrebbe detto – è una versione light: non è insomma Michela Murgia, a cui tanti la paragonano e per la quale in passato la scambiavano pure. A un festival nel lontano 2009 a Cagliari, quando non erano ancora due star, entrambe scrittrici esordienti, entrambe in tubino nero, Murgia non ancora guru “pasoliniana” ma esordiente col suo romanzo “Accabadora”, Cucciari con “Meglio un uomo oggi”, tutti scherzavano che fossero separate alla nascita, ed era Murgia che interrogava in pubblico Geppi: “Hai intenzione di scrivere ancora?”, le chiedeva, e quella: “Spero di continuare a scrivere stabilmente e di fare anche altro”. E altro l’ha fatto. E lì Michela Murgia raccontò anche che a Milano aveva accettato un invito a cena di qualcuno che l’aveva scambiata per Geppi Cucciari. Molti anni dopo, nel 2024, Cucciari ha letto tra le lacrime un ultimo libro di Murgia nella sua trasmissione “Splendida cornice”, ma lo strascico sui social di questa identificazione si fa odioso, ed è ancora lì. Proprio in questi giorni, a seguito forse delle polemiche sul David, Cucciari ha ripostato sui suoi social insulti e minacce di hater picchiatelli che le dicevano “vai a trovare la tua amica Murgia, comunistella da 4 soldi”, un tal Valerio, che lei ha ripostato con un “Ciao Valerio”.
Ma oggi che Murgia non c’è più, che la sinistra in crisi di idee e anche di volti, da Cacciari guarda piuttosto a Cucciari, Geppi non ha famiglie queer che si sappia ma un solido fidanzato, barbuto e con l’orecchino, naturalmente sardo, che ha conosciuto al festival del cinema di Tavolara, dove va ogni estate (anzi dove andava, perché da quando è stata defenestrata la sua organizzatrice, Piera Detassis, Cucciari non va più, e questo è un segno di lealtà, raccontano). Ma lì, in uno scenario un po’ da “Travolti da un insolito destino” wertmulleriano, quello che poi diventerà il fidanzato Marco gestisce infatti un servizio di barche e gommoni, oltre a uno stabilimento balneare, e adesso la accompagna ovunque, non in gommone, ma in smoking, anche ai David. Il barcaiolo va, controcorrente o no, e viene dopo un matrimonio burrascoso con un giornalista, Luca Bonaccorsi, anche fondatore del mensile ecologista “Terra”, con strascichi infelici anche sui giornali. “Geppi mi tortura ancora con quella sua satanica e spietata crudeltà: pensi che recentemente ha trafugato tutto quello (assai poco) che posseggo: i miei libri (che non ho mai letto), le foto di famiglia (distrutte? Anche quelle del nonno?), i pochi quadri e arredi di mio padre (quel milionario disprezzo per le altrui piccole cose…)” disse Bonaccorsi alla rivista “Oggi”. Adesso col barcaiolo e dopo le sofferenze “lei è più tranquilla, lui ne ha smussato gli angoli”, racconta chi la conosce, perché una certa durezza c’è insieme però a una grande qualità umana. Rimaniamo insomma nel cliché della sarditudine, così come sardo è lo stilista che la veste da anni immemori, Antonio Marras, e lui è che le crea quel look un po’ infagottato e floreale da sciura sebbene autoironica, una Nilde Jotti 2.0. Anche mercoledì scorso lei era insieme alla moglie dello stilista Patrizia Sardo (di nome e di fatto) Marras a presentarle a Milano un libro sulla moda. Milano è infatti la sua città d’adozione, dopo la laurea alla Cattolica. E lei cattolica lo è, profondamente, anche se non praticante. A Milano ha gli amici, pochi ma buoni, raccontano. Sportivissima, è molto dimagrita, va molto in palestra (Mc Fit), e gioca a burraco, in quel milieu del gioco un po’ brandizzato come tutto a Milano, nello specifico della “Burraco society”, inventata dal primario pr Paride Vitale con artisti come Maurizio Cattelan, signore come Umberta Gnutti Beretta, chef come Carlo Cracco. Insomma non precisamente un covo di comunisti. Frequenta anche casa di Piero Maranghi, il dandy più romano di Milano, figlio dell’ex numero uno di Mediobanca, e Maranghi inventore di Sky Classica e oggi della app per melomani “Più Classica” racconta anche di un altro episodio che testimonia la generosità di Cucciari: “A un certo punto eravamo a Sassari e avevo bisogno di un manichino per un’opera, e lei si è scapicollata con cento telefonate fino a farci trovare un manichino meraviglioso fin dal centro della Sardegna. Schiettezza e risolutezza sarda con gesti di generosità inaspettata”.
A Milano lei abita in zona Pagano, appena traslocato, vicino alla radio e alla tv, e ne ha fatta tanta di entrambe: “Un giorno da pecora”, appunto “Splendida cornice”, e prima una lunga gavetta tra “Zelig”, “Zelig Circus”, “Le Iene”, “Victor Victoria” (con Victoria Cabello, che l’ha “scoperta”, e con cui, pare, i rapporti si sono un po’ raffreddati); e poi teatro (con “Perfetta”, monologo scritto da Mattia Torre); ma soprattutto il cinema che, raccontano, è la sua grande passione e il suo futuro sognato, da attrice. Dopo una parte in “Grande grosso e Verdone” in cui fa la compagna (sarda) del bolso boy scout Leo Nuvolone, e poi ultimamente in “Diamanti” di Ozpetek, in cui interpretava la più politicizzata tra le sarte del rione Prati, anche lì forse schiacciata un po’ nella parte da una sceneggiatura tagliata col coltello. Ma il suo vero terreno di coltura è la cultura.
Conduce per ben sei anni “Per un pugno di libri” su Rai 3 insieme a Piero Dorfles, e poi i micidiali premi, dunque oltre lo Strega pure il Campiello e il Persefone, qualunque cosa sia. Pare che a differenza di Genny lei legga tutto, è sempre preparatissima, insomma una secchiona. Certo il rischio è forte, di trasformarsi in una specializzata in quella sottonicchia della tv “de cultura” del premio, che magari va in onda a notte fonda, la brava presentatrice con la cartellina in mano in quei premi tele o non trasmessi che specialmente a Roma non mancano (Guido Carli, Anima, Leonardo, ma poi Ischia, Capri, tutte le isole… si potrebbe girare l’Italia di premio in premio senza fermarsi mai).
Un po’ però lei è pur sempre di Macomer e cerca la legittimazione culturale, un po’ si sa che l’ascensore culturale e sociale della presentabilità in Italia è solo a sinistra anche se magari uno sogna in cuor suo il Rotary di Cagliari. Per fortuna è, ancora una volta, ironica. Spiega uno dei suoi amici, sempre il pr Paride Vitale, che Geppi è “l’unica che riesce a trasformare il classico momento con gli assessori in una cosa divertente”, e ricorda come sempre al premio Tavolara, a un certo punto, quando c’erano da consegnare i premi, un assessore arrivò molto in ritardo poiché aveva investito con la macchina un cinghiale, e da lì, a braccio, Geppy fece un esilarante spettacolo sugli assessori e i cinghiali, e sul fatto che se un assessore o in generale un sardo ti invita a cena vuol dire che ha investito un cinghiale e poi lo cucina”. In mancanza di cinghiali, “lei mette giù due o tre cose su un foglietto e poi va, a braccio”.
Tra assessori, libri e cinghiali, riesce nell’impresa sempre più difficile di fare tv di sinistra e dunque un po’ scolastica divertendo (volontariamente). Non ha la gravitas prevostale di un Gramellini, non l’orgoglio coatto di uno Zoro, non la smania civile dell’arrossato Stefano Massini: è insomma l’ultimo baluardo di quella materia gassosa che è la cultura in tv, l’ultima adulta nella stanza senza scavallare nelle esili creature tiktokiane tipo Edoardo Prati (e poi? What’s next? Si passerà direttamente a una intelligenza artificiale di sinistra che mischia autonomamente la costituzione più bella del mondo, Gaza, la santità delle librerie fisiche, il corpo delle donne? Però, quanti posti di lavoro si perderanno). Geppi eredita qualcosa della vecchia Tv delle ragazze, ma è meno corrosiva, è la “brava presentatrice” tappezzata Marras, con una vena però surreale. Come se un impazzito Angelo Guglielmi tipo scienziato da “Povere creature” l’avesse ricostruita mettendo un po’ di Avanzi, un pizzico di Michela Murgia, una grattugiata di bottarga di Daria Bignardi, il tutto fatto rosolare una notte di luna piena nel vecchio loft del Pd (gustare con vermentino o mirto Augias. Perché se un tempo sempre allo Strega ai tempi gloriosi del Metoo Valeria Parrella maltrattava Augias, lei è una Murgia col suo Augias incorporato, preferendo l’ironia al lamento). L’ironia la salva sempre: in conferenza stampa all’ultimo Sanremo una giornalista le chiede se vuole mandare un bacio alla Meloni (ma perché???) e lei, prontissima: “Col braccio di Elodie, lo mando”. Braccio e polso, forse comunista col Rolex (porta un Daytona, d’acciaio, fondo nero) non fa tante storie, non urla alla censura, anche quando forse qualche volta lo è stata, censurata (ma chi non?), come ai David dell’anno scorso, dove è rimasta a casa. A quelli di quest’anno era invece sia conduttrice che candidata, sarta ozpetekiana e pure conduttrice illuminata. Le riesce benissimo di andare a Sanremo e scherzare, pur nel Sanremo della restaurazione, il Sanremo antiqueer di Carlo Conti (“sei un presentatore di successo, con una carriera trentennale, ma sei soprattutto un padre”). E del resto, chi più assessore di Carlo Conti?
Ma lei dagli assessori scavalca i ministri e passa direttamente al presidente della Repubblica, che la apprezza molto (e che l’ha fatta Cavaliere all’Ordine al merito, già dieci anni fa). “E’ sempre un piacere essere qui in questa modesta magione, ampio cortile, molto luminoso, discreta armocromia”, ha detto lei al Quirinale ai David nel 2023. E poi, sempre al presidente: “Lei fa più giri dei Maneskin”. Quest’anno, invece, “La Casa Bianca ha postato su X una foto di Trump vestito da Mattarella” (erano i giorni del Conclave). Forte di questo gradimento questa volta si è esposta un po’ di più, anche andando ad “Amici”, dalla concorrenza, parlando del referendum sul lavoro e la cittadinanza dell’8 giugno (ma anche lì, senza ammorbare troppo: “Tutti chiamano Maria De Filippi ‘la sanguinaria’ ma non è vero, io direi Maria la finanziaria. Senza di te la disoccupazione giovanile salirebbe”).
Cosa farà adesso? Non si sa, lei appunto vorrebbe continuare a fare il cinema, e poi magari come tutti sogna di andare alla 9. Comunque ha poco più di 50 anni, festeggiati naturalmente in Sardegna, dove rimarrà anche quest’estate. Perché, ci risulta, quello che è sicuro è che quest’anno alla cerimonia dello Strega, il 3 luglio, abbia detto no. Era prevista, ma invece non ci va, non ne ha nessuna voglia, e per il momento Pino Strabioli rimarrà solo a vedersela coi libri e coi ministri. Nel caso arrivino anche i cinghiali, magari Geppi fa un salto.
La richiesta di solidarietà dei cineasti a lei che non ne ha proprio bisogno e se la sa cavare egregiamente con una battuta
Il lavoro usurante della cultura in tv, con i due programmi meno televisivi del palinsesto, il premio
Strega e i David di Donatello La sarditudine come modo di essere, una Michela Murgia in versione light. Gli abiti di Antonio
Marras e la voglia di fare cinema Quest’anno allo Strega non andrà, ma non per censura. Perché, semplicemente,nonnehavoglia.Starà in Sardegna, col fidanzato barcaiolo