di PAOLO GENTILONI
L’assenza italiana dal gruppo dei Paesi che indirizzano di fatto le scelte europee sulla guerra e la pace in Ucraina ha fatto scalpore. In gioco non sono certo le fotografie, che pure contano e talvolta fanno la storia.
E non far parte del gruppo di testa non cancella certo l’Italia, come confermano gli incontri del fine settimana a Roma in occasione dell’inaugurazione del pontificato di Leone XIV.
Ma Roma caput mundi non può essere la consolazione, anche perché in ballo non c’è solo una questione di prestigio. La postura di politica estera fin qui era stata un punto di forza della presidente del Consiglio, capace di rassicurare il tradizionale sistema di alleanze del nostro Paese.
Ma ora, come d’improvviso, rischia di essere un suo serio punto di debolezza.
Nelle ultime settimane si è andata infatti formando una coalizione di volenterosi guidata da Francia, Regno Unito, Germania e Polonia. Senza l’Italia, se si esclude una partecipazione controvoglia a una prima riunione più allargata tenuta a Parigi. L’iniziativa diplomatica dei volenterosi è stata tutt’altro che irrilevante. Nelle fasi più drammatiche del disimpegno americano, culminate con l’umiliazione di Zelensky nello studio ovale, gli europei non hanno lasciato sola l’Ucraina e sono riusciti, pur con mille limiti, a incarnare una posizione seria per una pace giusta e duratura. Lo hanno fatto proprio mentre si diradavano le illusioni su una luna di miele tra Trump e Putin e su una pace simile a un deal di mercato, secondo il credo che sembra ispirare l’inviato-immobiliarista Steve Witkoff: la pace si può comprare grazie a una montagna di dollari per ricominciare il prima possibile ad accumulare altre montagne di dollari. Sapremo oggi se il dialogo diretto del presidente Trump con Putin e Zelensky può riaprire la strada almeno a un cessate il fuoco, ma i negoziati sono più complicati degli annunci, come si è visto a Istanbul. E così, con il passare delle settimane, lo stesso Donald Trump ha preso a raccordarsi con gli europei volenterosi, come è avvenuto venerdì scorso a Tirana. Ma l’Italia, indecisa e riluttante, non c’era.
È probabile che i quattro promotori, Macron, Starmer, Merz e Tusk, non abbiano cercato il coinvolgimento dell’Italia. Perché nonostante il sostegno della presidente Meloni all’Ucraina non sono certo sfuggite le voci diverse nel governo, la vicinanza ideologica con Trump e Musk, l’accoglienza tributata a fieri avversari del sostegno all’Ucraina come il candidato presidente rumeno Simion, nonché i rapporti con gli avversari interni di destra dei quattro leader: tutto questo potrebbe essere alla base di una scarsa propensione a includerci. Il fatto è che, se qualcuno vuole escluderci, la nostra titubante incertezza può fornirgli ottimi pretesti.
Ho sentito Meloni sostenere invece che no, non saremmo stati esclusi, ma la non partecipazione a quegli incontri ristretti sarebbe stata una nostra scelta. Per non farsi coinvolgere in avventure militari. Ma visto che in quegli incontri e nel dialogo con Trump che hanno generato si parlava, come ha confermato a Roma il cancelliere Merz, non di truppe sul terreno ma piuttosto delle condizioni e delle pressioni necessarie per uno stop alla guerra, l’argomento mi pare piuttosto debole. Una sorta di pacifismo della volpe e l’uva.
Se la nostra assenza dovesse consolidarsi — come succede quando i formati diplomatici internazionali non si correggono per tempo — potrebbero verificarsi almeno due conseguenze molto serie. Questi volenterosi sono il luogo nel quale, nove anni dopo la Brexit, sta maturando un riavvicinamento strategico tra Ue e Regno Unito. E non sulle regole per il commercio ma sui comuni interessi geopolitici e di sicurezza. In risposta al disimpegno americano si parla tanto, oltre che di difesa comune, di un nascente pilastro europeo della Nato. Vogliamo restarne fuori?
La seconda conseguenza è che per ragioni storiche e geografiche il Triangolo di Weimar, che è il punto di partenza del gruppo di testa dei volenterosi e che è tornato centrale in Germania, conserva l’impronta che ne determinò la nascita negli anni Novanta: unire Francia, Germania e Polonia nei confronti del grande vicino russo. Tocca soprattutto all’Italia assicurare una visione di sicurezza più ampia che non si limiti al contenimento dell’espansionismo della Russia di Putin ma consideri la dimensione verticale degli interessi geopolitici italiani ed europei, proiettata verso il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente.
Insomma, abbiamo mille buone ragioni per partecipare al gruppo di testa dei volenterosi. Se davvero ci siamo autoesclusi, prima ci ripensiamo meglio è. Se invece, come credo, i promotori hanno preferito non coinvolgerci, il governo farebbe bene a dichiarare la nostra chiara volontà di contribuire all’impegno comune per l’Ucraina nelle sedi più adeguate. In ballo, oltre al nostro interesse nazionale, c’è il profilo geopolitico dell’Europa che verrà.