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23 Maggio 2025C’è un desiderio crescente nel ceto medio: vedere la realizzazione all’estero dei figli
LA TENDENZA
Il report Censis-Cida segnala che più della metà dei genitori pensa che i giovani dovrebbero cercare all’estero il lavoro per cui hanno studiato L’aspirazione può essere letta come un’apertura al mondo, in realtà è una spia di insoddisfazione
Il ceto medio italiano ha un sogno: vedere i propri figli realizzati all’estero. È un mito condiviso, e non è un bel segno, perché se l’idea di far espatriare i propri discendenti affinché possano affermarsi può essere letta come apertura al mondo, in realtà questa nuova aspirazione “di classe” assomiglia più a un invito alla fuga frutto di insoddisfazione: lasciare un paese che ha poco da offrire quanto a opportunità presenti e future, che non premia il valore, ha retribuzioni troppo basse e – va da sé – tasse troppo alte, anche in rapporto a un welfare che va restringendosi.
Forse è una visione un po’ pessimistica, ma indagini come quella che il Censis ha realizzato con la Confederazione dei dirigenti e della alte professionalità (il nuovo Rapporto Censis-Cida è più di un programma: “Rilanciare l’Italia dal ceto medio – Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”), esprimono il loro valore nella capacità di registrare la percezione che le persone hanno della realtà. Perché è come ci si sente che, alla fine, conta. E in Italia oggi due terzi dei cittadini (il 66%) ritengono di appartenere al ceto medio, in base a un’autovalutazione che non discende tanto dal reddito o dal lavoro svolto, bensì dalla condizione culturale, dagli interessi e dalle competenze. È una novità rilevante, questa, ai fini della soddisfazione di vita: significa che le persone si percepiscono ceto-medio anche se la loro situazione economica li relegherebbe un po’ più in basso (il 28,2% è invece ceto popolare, i benestanti sono il 5,7%). Un corpo sociale che non sta male, insomma, fuori dalla portata dei riflettori in un Paese con 5,6 milioni di poveri assoluti, ma che tante ricerche segnalano da tempo essere in sofferenza: giusto pochi giorni fa il rapporto Iref-Acli
ha parlato di “sgretolamento” del ceto da sempre associato a dinamismo e vitalità, e la stessa indagine Censis-Cida segnala come la ricchezza media sia scesa negli ultimi anni di quasi il 20% per il ceto medio, contro il calo del 3% per i più poveri e del 4,3 per più ricchi.
Il “sogno” dei figli all’estero è solo uno dei molti aspetti che rilevano la maggiore fatica, ma è un punto d’osservazione importante perché rappresenta la vista sul futuro: quasi il 50% dei genitori è convinto che i propri figli staranno economicamente peggio rispetto a oggi, il 24% vorrebbe che frequentassero scuole superiori oltreconfine, il 53%, potendo, li manderebbe a frequentare un’università straniera, e poi più della metà pensa che tutti i giovani italiani farebbero bene a cercare all’estero il lavoro per cui hanno studiato, mentre il 35% è convinto che dovrebbero andarsene altrove a realizzare i propri progetti di vita, perché «l’Italia non è un paese per giovani». Una fuga già in atto, come ha rilevato di recente anche l’Istat contando 352mila giovani che si sono trasferiti oltre confine negli ultimi 10 anni.
L’identikit del ceto medio nazionale rileva che il 45% ha un reddito tra 16 e 35mila euro, il 28% dai 36 ai 50.000 euro, la metà ha un diploma e il 41% la laurea, due terzi investe in attività extrascolastiche per i figli – che nel 49% dei casi significa attività sportive e, nonostante l’ambizione a un altrove oltreconfine, vuol dire invece corsi di lingua per solo il 18%, di musica per il 10,6%, di informatica per l’8,4%. Il supporto economico a figli e nipoti nelle spese importanti è un tratto caratteristico, ma registra un peggioramento di certezze e prospettive: la maggioranza sente di avere «le spalle coperte», ma il 24% vive una condizione di ansia, per più di otto su dieci il reddito è rimasto fermo o è calato, poco meno della metà ha ridotto i consumi e il risparmio, per il 55% il welfare pubblico riesce a garantire giusto le prestazioni di base e per uno su quattro nemmeno quelle. Per questo, chi riesce, ha una polizza sanitaria (45%) o un fondo pensione (36%), e chi non ce la fa, ovviamente, li vorrebbe.
Il punto è proprio questo. Il ceto medio sente di godere di una buona reputazione sociale pubblica per le competenze e le professionalità che esprime e mette in campo, ma poi non trova il corrispettivo di una soddisfazione “materiale” capace di fare la differenza. Non è tanto la richiesta di minori tasse sui redditi, insomma, il vero punto, anche se lo chiede il 71% degli italiani, pensando possa servire a ridurre l’evasione fiscale, ma quella “scure” che quando è troppo alta disincentiva il lavoro e l’impegno a fare di più, abbatte premi di produzione e aumenti, fa perdere quei benefici e quegli sconti fiscali che tanti ormai pensano debbano essere concessi in base al bisogno e non al reddito, come invece accade, ad esempio, per i sostegni ai figli. Un aspetto, questo, emerso anche dal recente rapporto Ocse sulla tassazione dei redditi nel dato delle aliquote marginali.
«Il ceto medio è il punto di tenuta del Paese, ma sta vivendo un paradosso insostenibile – spiega Stefano Cuzzilla, presidente riconfermato della Cida –. È troppo ricco per ricevere aiuti, troppo povero per costruire futuro. Colpito dal fisco, escluso dal welfare, ignorato nei riconoscimenti. Eppure resiste, investe nei figli, tiene in piedi famiglie e territori con una generosità silenziosa. Per quanto ancora? Per quanto ancora possiamo permetterci di non ascoltarlo?». Le richieste della Cida parlano di riforma fiscale per alleggerire le tasse sul lavoro dipendente, rivalutazione delle pensioni, previdenza integrativa rafforzata, valorizzazione del ruolo e del contributo dei manager, una più forte lotta all’evasione. Soprattutto un sistema che «premi chi produce valore e non chi lo elude».
Al di là di questo, bypassando la dinamica tra ricchi e poveri e la diatriba tra merito e impegno, l’immaginario di un paese in cui è difficile emergere, al punto che alla mobilità interna si è sostituita quella esterna che invita a oltrepassare i confini per realizzarsi, è la vera questione da affrontare.