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Negli ultimi giorni, il dibattito internazionale ha finalmente iniziato a usare parole come “genocidio” e “crimini di guerra” per descrivere ciò che accade a Gaza. Alcuni governi hanno sospeso accordi con Israele, imposto sanzioni ai coloni più estremi, e si parla con più forza del riconoscimento dello Stato palestinese. Ma tutto questo arriva tardi, troppo tardi. Gaza è in macerie, la popolazione intrappolata, affamata, con decine di migliaia di morti, tra cui oltre 20.000 bambini.
Per decenni, rapporti delle Nazioni Unite e di organizzazioni indipendenti hanno denunciato le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, parlando apertamente di apartheid e di colonizzazione illegale. La Corte Internazionale di Giustizia aveva già condannato il muro israeliano nel 2004, ma tutto è rimasto lettera morta. Solo nel novembre 2024 sono arrivati i primi mandati d’arresto dalla Corte Penale Internazionale, subito ostacolati da molti leader occidentali.
Intanto, a Gaza si muore di fame e di malattie. Gli aiuti umanitari entrano con il contagocce, spesso non raggiungono il nord della Striscia. Si profila un sistema di distribuzione gestito da una fondazione privata e protetto da mercenari, già bocciato dall’ONU. Gli ospedali sono al collasso. “Abbiamo finito gli antibiotici, la scabbia si diffonde”, racconta un medico italiano sul campo. Eppure i medici palestinesi resistono e curano, anche senza casa, anche dopo aver perso tutto.
In Israele cresce il dissenso: famiglie degli ostaggi chiedono la fine della guerra, mentre ex alti ufficiali come Yair Golan vengono puniti per le loro critiche. La domanda resta aperta: se il diritto fosse stato applicato per tempo, quanti morti si sarebbero potuti evitare? Oggi, la lentezza della giustizia pesa quanto le bombe. E continua a colpire i più fragili.