di fulvia caprara
cannes
Il Festival di Cannes, quest’anno più che mai immerso nell’aria del tempo, si chiude al termine di una mezza giornata di black out su cui pesano le ombre di una causa dolosa. Un segnale che fa riflettere, nessuno è al sicuro, nemmeno nella bolla dorata in cui, per due settimane all’anno, il cinema è il centro del mondo. La Palma d’oro va a Un simple accident girato in clandestinità dall’iraniano Jafar Panahi, perseguitato per anni dal regime, la galera, gli arresti domiciliari, l’impossibilità di lavorare: «Mi permetto di chiedere una sola cosa – dice dopo aver chiamato sul palcoscenico la troupe – quella più importante, e cioè la libertà per il nostro Paese». Non a caso è Cate Blanchett, paladina del cinema dei rifugiati e degli esuli, la diva scelta per consegnare il trofeo, mentre, in sala stampa, i giornalisti di tutto il mondo esultano: «Il cinema è una comunità – continua Panahi -, nessuno può venirci a dire che cosa possiamo fare e cosa no. Spero che un giorno questa condizione diventerà possibile». Panahi, uomo libero a Cannes, ha annunciato di voler tornare nel suo Paese: «Nessuno è completamente buono o cattivo – dice l’autore -. Tutti sono il risultato della struttura di un sistema che impone le proprie regole e i propri valori. La questione va oltre la riconciliazione. Si tratta di capire come, quando il sistema crolla, persone bombardate da propaganda medievale per quasi mezzo secolo possano convivere pacificamente ed esprimere i propri bisogni e desideri, in modo autentico». Il Grand Prix va al norvegese Joaquim Trier, regista del bergmaniano Sentimental Value, intreccio di eredità storiche, tensioni familiari e miracoli taumaturgici della settima arte, applaudito per 19 minuti alla serata di gala: «Dedico questo premio a mio padre – spiega Trier – Il cinema è un linguaggio internazionale che celebra la libertà dell’immagine».
L’Italia è ancora una volta assente dal palmarès, in una fase complessa per la nostra industria cinematografica, dove la luce di un premio sarebbe stata particolarmente utile. Del verdetto si dice che sia stato molto sofferto, che la giuria guidata da Juliette Binoche a lungo non sia riuscita a trovare un accordo e che il direttore Thierry Fremaux avrebbe vissuto ore di grande tensione perchè in assenza di verdetto, diventa complicato riuscire a far arrivare i premiati a Cannes: «Abbiamo discusso tanto – ha confermato Binoche – ci siamo aiutati l’un l’altro a trovare una soluzione». Il premio della Giuria, spezzato in due dall’ex-aequo, va allo spagnolo Sirat di Oiver Laxe e alla tedesca Mascha Schilinski, di Sound of falling. Al centro del primo il viaggio iniziatico attraverso le montagne marocchine di un padre (Sergi Lopez) sulle tracce della figlia e di un gruppo che si sposta nel deserto, da un rave all’altro, alla ricerca di un senso più profondo dell’esistenza: «Siamo tutti il frutto di contaminazioni – dice Laxe, regista di bellissima presenza che scatena l’entusiasmo della platea femminile – viva la cultura della differenza». L’autrice di Sound of falling, cronaca intrecciata delle vite di quattro ragazze nell’arco di quattro decenni, in una Germania che sembra perpetuare i propri errori attraverso le epoche, dedica il premio alle donne: «Non rinunciate mai ai vostri sogni».
All’ Agente segreto del brasiliano Kleiber Mendonca Filho vanno due riconoscimenti, il premio per la regia e quello per l’attore, Wagner Moura: «Il Brasile è un Paese pieno di bellezza e di poesia, lo abbraccio tutto – dice il regista – . Sono fiero di questo riconoscimento, Cannes è la cattedrale del cinema nel mondo e questo film è stato forgiato pensando proprio alla fruizione cinematografica». La migliore attrice è Nadia Mellitti, protagonista del film firmato dall’attrice Hafsia Herzi The little sister, cronaca puntuale e sensibile della scoperta della sessualità di Fatima, ultimogenita di una famiglia di immigrati tunisini, divisa tra scuola, affetti, osservanza alla religione musulmana, eppure decisa a seguireil suo cuore. La premiatrice è Halle Berry, il discorso di ringraziamento conciso, lo smoking impeccabile.
Il cinese Bi Gan, autore del visionario Resurrection, guadagna il Premio Speciale e lo dedica ai suoi bambini, Alice Rohrwacher sfoggia un audace francese per spiegare le ragioni che hanno spinto la giuria da lei guidata ad attribuire il premio Camera d’or all’iracheno Hasan Hadi di The President’s Cake, ambientato nell’era della dittatura di Saddam, John C.Reilly, tra gli interpreti di Testa o croce?, riflette sugli imprevisti della vita alludendo al black out, intona La vie en rose, fa sapere che è il suo compleanno e attribuisce ai fratelli Dardenne il premio per la sceneggiatura di Jeunes meres, un altro magnifico ritratto di vita vera, dedicato, stavolta, alla scelta di maternità portata avanti da cinque adolescenti, alle prese con mancanze, disagi, dipendenze: «Siamo interessati al tema delle giovani madri – spiegano gli autori – ragazze che hanno difficoltà ad avvertire il legame con i loro bambini e che lo scoprono, a poco a poco. E’ difficile spiegare il perché, forse volevamo filmare la nascita, la fragilità della vita, i rapporti tra gli esseri umani, necessari per far crescere un bambino. Un processo prezioso per l’intera umanità».