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In Russia, la nostalgia per l’impero perduto è diventata il fondamento di un regime che rifiuta la libertà e alimenta la guerra. Vladimir Putin ha costruito il proprio potere sul rimpianto dell’URSS, mescolando simbologie zariste e retorica sovietica. In questo contesto, la democrazia è vista come una debolezza e l’Ucraina come una deviazione da correggere. La società civile, scoraggiata e disillusa, ha ceduto il passo a un’autorità che promette stabilità in cambio di obbedienza.
Ma se il populismo della nostalgia domina Mosca, quello del disimpegno prende piede a Washington. L’America di Donald Trump, ostile a impegni internazionali duraturi, ha bloccato gli aiuti militari all’Ucraina proprio nel momento più critico. Difese aeree ferme, munizioni sospese, promesse non mantenute. Kiev resta esposta agli attacchi, mentre Mosca intensifica i bombardamenti. Senza rifornimenti, la resistenza ucraina vacilla.
L’Europa, timorosa e divisa, rincorre gli eventi e si piega spesso alla logica dell’acquiescenza. L’adulazione verso Washington non ha prodotto risultati: né più sicurezza, né più influenza. La strategia del compiacimento ha fallito.
Oggi l’Ucraina rischia di pagare la guerra due volte: sul campo e nei debiti. Senza un cambio di rotta, senza un impegno reale e coordinato, il rischio è che la pace non arrivi mai. Né da Mosca, né da chi dice di volerla.