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Mediobanca respinge con fermezza l’offerta pubblica di scambio lanciata da Monte dei Paschi di Siena. Il consiglio di amministrazione la definisce ostile, non concordata e svantaggiosa per i propri azionisti. I motivi del rifiuto sono chiari: il prezzo è troppo basso, manca un progetto industriale credibile e ci sono troppe incertezze sul controllo futuro del gruppo.
Il punto centrale è il valore dell’offerta: Mps propone 2,533 sue azioni per ogni azione Mediobanca. Secondo il cda, questo equivale a uno sconto del 32% rispetto a quanto sarebbe giusto, cioè 3,71 azioni in base alle medie storiche. Ma anche guardando solo ai valori attuali di Borsa, l’offerta rimane penalizzante: lo sconto è di circa il 3,9%. In pratica, chi accetta scambia un’azione con qualcosa che vale quasi il 4% in meno.
Mediobanca contesta anche il senso industriale dell’operazione. Unire due realtà così diverse – una banca specializzata e stabile come Mediobanca, e una banca commerciale come Mps ancora fragile – non porterebbe vantaggi ma piuttosto grosse perdite. Il consiglio stima dissinergie per 460 milioni di euro in caso di fusione, che salirebbero fino a 665 milioni se non ci fosse un’integrazione vera. Le promesse di Mps, che parla di 700 milioni l’anno di sinergie, vengono considerate poco realistiche.
C’è anche un problema di solidità. Mediobanca ricorda che Mps arriva da una lunga serie di crisi, salvataggi pubblici e aumenti di capitale. I suoi bilanci restano deboli, con un alto livello di crediti deteriorati (4,4% contro una media del 2,5%) e un tasso di copertura delle sofferenze più basso rispetto alle altre banche italiane. Inoltre, la sua redditività dipende da fattori esterni come l’andamento dei tassi o agevolazioni fiscali.
Il consiglio di Mediobanca solleva infine forti dubbi sugli equilibri azionari dopo l’eventuale fusione. Grandi soci come Delfin e Caltagirone sono presenti sia in Mps che in Mediobanca, oltre che in Generali. Questo genera incertezza sul controllo effettivo del gruppo e sugli interessi in gioco. Non è chiaro se siano state richieste le necessarie autorizzazioni alle autorità di vigilanza, né cosa accadrebbe se l’offerta si fermasse al 35% del capitale, soglia minima fissata da Mps. Secondo Mediobanca, una quota simile non garantirebbe comunque un vero controllo.
L’aggregazione, inoltre, impedirebbe a Mediobanca di continuare il proprio percorso autonomo, incluso il progetto di acquisire Banca Generali, che secondo il consiglio resta una strada più solida e coerente con la propria strategia.
In sintesi, Mediobanca dice un no netto all’offerta del Monte. E lo fa alla vigilia del lancio ufficiale dell’operazione, rendendo fin da subito molto complicato il suo successo.