
Siena nella morsa dell’overtourism: la qualità della vita dei residenti è a rischio
17 Luglio 2025
Preferisco Lamarque
17 Luglio 2025Due casi diversi, stessa logica: a Siena il Comune rinuncia a governare la città e lascia campo libero ai privati. La riqualificazione urbana diventa un pretesto per operazioni immobiliari o energetiche senza visione, senza garanzie per la collettività e senza integrazione con il tessuto urbano. Viale Sclavo e l’ex Idit sono il simbolo di una politica che si accontenta di gestire, senza progettare il futuro.
Viale Sclavo: lo studentato al privato, i costi degli impianti sportivi al Comune
C’era una volta un progetto che avrebbe dovuto cambiare il volto di Viale Sclavo, un angolo di città segnato dagli impianti sportivi del Palasport, da parcheggi polverosi e da una tensostruttura che cadeva a pezzi. Un piano ambizioso, che metteva insieme pubblico e privato: da una parte lo studentato, con le sue stanze nuove per ospitare gli studenti universitari; dall’altra una palestra nuova di zecca, la riqualificazione degli impianti sportivi, un parcheggio scambiatore funzionale per tutta la zona.
Un equilibrio fragile, certo, ma necessario: se il privato ci guadagna con lo studentato, in cambio la città avrebbe avuto un nuovo spazio sportivo e una zona finalmente moderna e vivibile.
Poi però qualcosa è cambiato. Il Comune, invece di tenere insieme tutto questo, ha deciso di separare i destini delle tre parti del progetto:
- la nuova palestra
- il parcheggio pubblico, su area ferroviaria ancora da acquisire
- lo studentato e le attività direzionali, che saranno probabilmente le uniche cose che verranno fatte davvero.
Così oggi il privato potrà costruire liberamente lo studentato, senza più essere obbligato a realizzare la nuova palestra. Il vincolo che legava le due cose è stato tolto. E la Polisportiva, che pure incasserà grazie alla valorizzazione immobiliare, difficilmente riuscirà a trovare i soldi per la palestra: troppi i debiti da pagare.
E allora chi ci pensa alla palestra? Forse il Comune, se troverà finanziamenti, magari accedendo al credito sportivo. Ma intanto resta un punto interrogativo. E anche per il Palasport, che necessita di un costoso adeguamento antisismico, sarà il Comune a mettere mano al portafoglio.
Intanto, dove andranno a giocare le squadre durante i lavori? Chi garantisce che la palestra nuova si faccia? Chi coordina una vera programmazione per lo sport a Siena?
La realtà è che così facendo si è trasformato un progetto di riqualificazione urbana integrata in un’operazione immobiliare privata. E il Comune? Sta a guardare, mettendo soldi pubblici per il Palasport e magari anche per la palestra, senza che ci sia un ritorno certo per la città.
Sembra la stessa storia della piscina di Piazza d’Armi: oltre sei milioni di euro pubblici per un impianto isolato, scollegato dalla città e senza un disegno generale.
Eppure sarebbe bastato poco: legare la costruzione dello studentato alla cessione dell’area per la palestra, oppure imporre un contributo obbligatorio al privato per finanziare gli impianti sportivi. Ma così non è stato.
E alla fine, resta la sensazione amara che i profitti siano per pochi, e i costi — ancora una volta — per tutti.
Ex Idit: tutte le criticità di un’operazione senza visione
Il progetto per l’ex Idit a Isola d’Arbia, approvato dal Comune di Siena con la società Red Brick srl, rischia di segnare per sempre questa area come uno spazio marginale e degradato, invece di aprire a una vera rigenerazione urbana.
Al centro dell’operazione non c’è un progetto di recupero urbanistico o culturale, ma la realizzazione di un grande impianto fotovoltaico che occuperà oltre 52.000 metri quadrati di terreno agricolo. Si sfruttano le semplificazioni della cosiddetta “Solar Belt”, che permette di installare pannelli solari in aree agricole non vincolate, ma il risultato è un vincolo che durerà almeno 25-30 anni e che renderà ancora più difficile e costoso qualsiasi futuro intervento di riqualificazione.
Il Comune parla di “restituire l’area alla comunità”, ma la realtà è che il progetto si sviluppa in due fasi: prima i pannelli solari, poi — solo dopo — la presentazione di un progetto di recupero dell’edificato esistente, che dovrà essere depositato entro dodici mesi. Nessuna garanzia, però, sulla qualità di questo recupero né sulla destinazione degli spazi.
La Torre dell’ex Idit, che potrebbe avere un ruolo importante come punto di riferimento urbano e culturale, resta invece un elemento isolato, circondato dai pannelli solari. Manca una visione d’insieme, manca un piano per collegare Isola d’Arbia al resto della città, per superare quella logica che la considera da sempre un’area di risulta, senza identità né prospettiva.
Sul piano economico, Red Brick ha previsto circa 150.000 euro per opere pubbliche, oltre al pagamento degli oneri di urbanizzazione, che però beneficiano di uno sconto del 20% grazie agli incentivi per la rigenerazione e la decarbonizzazione. Si tratta di una cifra modesta, insufficiente a compensare l’impatto ambientale, paesaggistico e sociale di un intervento così esteso.
Ad oggi non risultano risorse pubbliche stanziate specificamente per quest’area. Tuttavia, il Comune ha recentemente ottenuto 3 milioni di euro dal Bando Periferie “Cohesion” per la riqualificazione di altre parti della città. Sarebbe stato opportuno chiedersi se una parte di queste risorse potesse essere destinata anche a Isola d’Arbia, per migliorare la viabilità, creare spazi pubblici o rafforzare i collegamenti con la città.
Senza investimenti pubblici mirati e senza una visione complessiva, il Comune rinuncia di fatto a governare la trasformazione dell’ex Idit, lasciando l’iniziativa tutta nelle mani del privato e rinunciando a incidere davvero sul futuro di quell’area.