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Negli ultimi giorni il confronto tra politica e magistratura si è acceso come non accadeva da tempo. Al centro della tensione c’è la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) voluta dal governo, che punta alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, al sorteggio per la scelta dei membri togati del Csm e a un ridimensionamento del ruolo delle correnti interne alla magistratura.
Lo scontro è esploso con il caso del magistrato Raffaello Piccirillo, criticato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per alcune sue prese di posizione. Il Csm si è diviso, con i consiglieri laici vicini alla maggioranza che si sono inizialmente sfilati dal voto in segno di protesta. L’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riportato l’istituzione a un equilibrio precario, ma le fratture restano profonde.
In questo contesto si è fatta sentire anche la voce di Silvia Albano, giudice a Roma e presidente di Magistratura democratica, nota per una sentenza che ha messo in discussione il cosiddetto “modello albanese” sui migranti. Albano difende con decisione l’indipendenza della magistratura e il suo ruolo di garanzia dei diritti fondamentali. Secondo lei, la riforma in discussione va ben oltre la separazione delle carriere: rischia di cambiare la natura stessa del Csm e di rendere più debole la tutela dei cittadini.
La proposta di scegliere i membri del Csm tramite sorteggio, ad esempio, viene vista come un pericolo: i magistrati potrebbero perdere autorevolezza e diventare più esposti alle pressioni dei partiti. Anche la separazione netta tra giudici e pm, se realizzata senza equilibrio, potrebbe trasformare il pubblico ministero in un organo vicino alla polizia, allontanandolo dalla cultura della giurisdizione e del garantismo.
Non mancano le autocritiche. Albano ammette che la magistratura ha vissuto momenti difficili, come lo scandalo dell’Hotel Champagne, e riconosce che serve maggiore capacità di ascolto e trasparenza. Ma mette in guardia: attaccare l’intera istituzione giudiziaria rischia di delegittimare un pilastro della democrazia.
Il Partito Democratico, con l’intervento di Dario Franceschini in Parlamento, ha raccolto i segnali che arrivano dalla magistratura. Con toni misurati ma decisi, l’ex ministro ha chiesto prudenza ai magistrati e ha dichiarato che la battaglia sul referendum sarà politica, uno scontro tra chi vuole difendere la Costituzione e chi cerca di concentrare il potere nelle mani di pochi.
Tra timori di derive autoritarie, inchieste giudiziarie che agitano la politica e una riforma che spacca il Paese, il confronto sulla giustizia entra nel vivo. Per Albano, il compito dei magistrati è chiaro: non farsi portatori di ideologie, ma restare fedeli alla Costituzione, difendendo i diritti di tutti, specialmente dei più fragili. Il referendum, se confermato, sarà il banco di prova. E spetterà ai cittadini scegliere quale idea di giustizia vogliono per il futuro della democrazia italiana.