
Sly & The Family Stone – Everyday People
26 Luglio 2025
Dante, dal conte Ugolino all’imperatore Giustiniano
26 Luglio 2025Lo spettacolo «La casa silente» è il nuovo autodramma degli abitanti del borgo che riflettono sulle trasformazioni di piccoli e grandi centri
Ginevra Barbetti
In Val d’Orcia c’è un intero borgo che s’interroga sulle questioni importanti, dove la comunità cerca risposte facendo teatro, diventando memoria e scrivendo visioni nuove sul futuro. Il Teatro Povero di Monticchiello ogni anno propone un testo nuovo, ideato, discusso e recitato dagli abitanti-attori. Con La Casa Silente , da stasera al 14 agosto, va in «piazza e in scena» il 59° «autodramma», una formula teatrale innovativa che unisce drammaturgia collettiva, partecipazione attiva e memoria condivisa. La definizione viene fatta propria dalla stessa compagnia, che per anni usa come sottotitolo dei suoi spettacoli queste parole: «Autodramma ideato, scritto e realizzato dalla gente di Monticchiello».
In La Casa Silente si parla di un presente distopico: siamo nel 2059 di un’Europa afflitta da crisi demografica e alienazione sociale. Quasi tutta la popolazione è vecchia, le famiglie scomparse, il lavoro umano residuale e i borghi storici ridotti a simulacri turistici di lusso. In questo scenario fantascientifico, eppure plausibile, si riflette sulla società d’oggi, dove Monticchiello, svuotato e svenduto, diventa metafora di una memoria divenuta merce, con l’automazione che cancella il lavoro umano. Ci si chiede, dopo la sparizione di un anziano, se sia ancora possibile ricostruire un senso collettivo, si cercano significati e legami perduti, in alternativa alla stasi. In questo «mondo alla rovescia», ripreso dalla tradizione teatrale popolare che sovverte l’ordine sociale ribaltando i ruoli, va in scena il paradosso per raccontare la verità.
È dal 1967 — quando le campagne si spopolavano, le tradizioni svanivano, la memoria sembrava destinata all’oblio — che qui si sceglie una strada diversa, rifiutandosi di «morire». Il paese, privo di un teatro vero e proprio, fa della piazza il palcoscenico. Ogni testo nasce da assemblee pubbliche, dove la comunità discute i temi cruciali, trasformando queste suggestioni in copioni. È un ambiente senza finzione, in cui chi recita spesso recita se stesso, a voler servire il giusto pretesto di riflessione. E se un tempo gli spettacoli avevano una forte impronta pedagogica, un legame diretto con la memoria contadina e una particolare struttura tripartita tra passato, presente e trasformazione, negli anni Ottanta — con la regia costante di Andrea Cresti — la forma diventa fluida, ad atto unico, le influenze grottesche, simboliche, talvolta oniriche. I temi si fanno più complessi, materia viva di riflessione: guerre, mercificazione, emigrazione, disagio psichico, crisi ambientali e sociali. Il linguaggio teatrale si arricchisce di meta-teatro, ironia e fantasie poetiche. Il Teatro Povero, dunque, continua a essere laboratorio di consapevolezza che non smette di accendere la luce, tematizzando storie senza la pretesa di offrire particolari soluzioni, ma pretesti per approfondire pensieri e dare spazio all’immaginazione sul senso delle tante trasformazioni che «fortemente travolgono».
https://corrierefiorentino.corriere.it/