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28 Luglio 2025Gaza, fame, guerra e responsabilità
A Gaza si muore ogni giorno, non solo per le bombe ma per fame e malattie. Oltre due milioni di persone sopravvivono in meno di 50 chilometri quadrati, mentre gran parte del territorio è interdetto. I lanci aerei di viveri, oltre a essere pericolosi e inefficaci, non bastano: servono mille camion al giorno, non pacchi dal cielo. I valichi sono bloccati, la distribuzione degli aiuti è caotica, e la fiducia della popolazione nel sistema umanitario è crollata. Si rischia la vita per un sacco di farina.
È una crisi umanitaria estrema, ma anche politica. L’attacco militare israeliano ha superato ogni limite: ospedali, chiese, scuole colpiti, ong ostacolate, Nazioni Unite marginalizzate. Le “pause umanitarie” non bastano, e non fermano la strategia di logoramento che mira, secondo molti osservatori, a spingere i palestinesi fuori da Gaza e dai territori. I coloni in Cisgiordania agiscono indisturbati, Netanyahu tace, ma i suoi ministri parlano apertamente di annessione.
Per questo cresce la richiesta di risposte politiche concrete. Una lettera firmata da ex alti funzionari italiani chiede al governo di fermare la cooperazione militare con Israele, adottare sanzioni mirate e riconoscere lo Stato palestinese. Un gesto simbolico, ma necessario. Emmanuel Macron lo ha annunciato, ma è rimasto isolato. L’Italia e altri paesi europei evitano di esporsi, mentre i paesi arabi sembrano sempre più disinteressati a un vero Stato palestinese, temendo derive islamiste o instabilità.
Olivier Roy denuncia l’ipocrisia: da un lato si sostiene la causa palestinese, dall’altro la si svuota di significato. La destra europea, in particolare, tende a confondere palestinesi, Hamas e terrorismo. Ma Hamas – oggi interlocutore di fatto di americani e israeliani – non è l’unico attore possibile. Serve una nuova voce palestinese, una leadership civile, che però Israele non vuole: teme, più ancora dei razzi, la nascita di un movimento pacifico e credibile.
Gaza non ha solo bisogno di aiuti: ha bisogno di giustizia e di un futuro politico. Continuare a ignorare questa realtà significa essere complici. Riconoscere lo Stato palestinese non risolve tutto, ma è un primo passo per uscire dal silenzio. Anche un gesto può fare la differenza.