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14 Settembre 2025Saluto a Luisa Laureati Briganti
Con questo articolo saluto una cara amica, con cui ho condiviso un rapporto sincero e profondo. Mi mancherà.
Luisa Laureati Briganti è stata una figura capace di unire grazia e tenacia, sempre curiosa, sempre attenta a far incontrare le persone e le idee giuste. Con la Galleria dell’Oca ha intercettato i fermenti dell’arte italiana del secondo dopoguerra, creando spazi in cui il dibattito e la convivialità si intrecciavano naturalmente.
Il suo modo di vivere l’arte – non come esercizio accademico ma come occasione di incontro e di scoperta – resta un esempio raro. Chi l’ha conosciuta sa quanto sapesse unire rigore e leggerezza, quanto fosse generosa nell’offrire amicizia e sostegno, e nel trasformare i luoghi che abitava in punti di riferimento culturale.
Mi piace pensare che continuerà a esserci, nelle sue case e nelle sue carte, nelle opere degli artisti che ha amato, e nel sorriso con cui accoglieva gli amici.
Pierluigi Piccini
Luisa Laureati, la convivialità della conoscenza
La gallerista, in memoria Scomparsa il 3 agosto. Con la Galleria dell’Oca, ma anche con le sue case, dagli anni sessanta è stata protagonista, lieve e tenace, della scena dell’arte italiana: intercettando le novità, coinvolgendovi il marito Giuliano Briganti
Luisa Laureati Briganti è scomparsa il 3 agosto scorso. Nel 1965 aveva aperto in via dell’Oca, di fronte alla casa di Alberto Moravia e di Elsa Morante, una libreria che due anni dopo sarebbe diventata la galleria di cui tutti hanno ricordato, negli articoli pubblicati dopo la sua morte, il ruolo cruciale nel sistema dell’arte a Roma nel secondo dopoguerra. Non è emersa invece, in quegli articoli, la dimensione conviviale che di quella libreria aveva segnato la nascita: tra gli scaffali dei libri ci si poteva anche sedere, chiacchierare, bere un whisky o gustare un gelato; e dopo, quando i libri se ne furono andati via, e la Galleria si ampliava e si strutturava negli spazi, il clima non mutò mai: la galleria dell’Oca avrebbe continuato a rappresentare un luogo caratterizzato dalla curiosità per i fermenti delle trasformazioni.
All’Oca (un po’ loca come celiava il cileno Matta) passano Beniamino Placido e Andrea Barbato, Parise e Pasolini, quest’ultimo fotografato all’inaugurazione della prima mostra nel 1967: erano esposti i disegni per I viaggi di Brek di Gastone Novelli, che con un cappello cinese in testa firmava copie del libro sotto un grande ritratto di Mao.

Luisa Laureati ricordava quei primi anni della sua Galleria in una lettera del 17 aprile 2020, in pieno covid, a Umberto Parrini, che era stato a Pisa il collaboratore princeps di Paola Barocchi per il Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali e che allora suggerì lo schema iniziale per il sito dell’Oca: «Furono anni in cui la partecipazione fu molto viva e per la galleria passavano un gruppo di uomini speciali, tra cui Fortebraccio, che era stato un onorevole democristiano che diventò comunista e ogni settimana scriveva sull’Unità cose straordinarie. Di tutto questo adesso ho dei vaghi ricordi anche perché questa prigionia in casa peggiora gli ottantenni. Ma quegli anni vanno documentati non per mio protagonismo ma per il fatto che si era creduto e avevamo tutti combattuto a nostro modo per cambiare il nostro paese. E l’Oca giocò un ruolo forse marginale ma comunque ebbe il merito di collaborare con persone abbastanza eccezionali».
Quella dimensione conviviale, che non era vacua mondanità ma vigile attenzione per tessere, con grazia e con gioia, i fili di una trama che accoglieva accanto ai protagonisti del dibattito intellettuale figure più appartate ma a lei care per antiche amicizie, Luisa Laureati avrebbe continuato a coltivarla. Accadeva, questo, in ognuno dei luoghi che Luisa amava e sapientemente costruiva: le sue case.
Una di queste case fu a Salve, una piccola città del Salento, dove negli anni Duemila un architetto di rara felicità inventiva, Tato (Salvatore) Dierna, l’ultimo compagno di Luisa, ha progettato lo spazio, interno ed esterno, nei minimi particolari. Con altrettanto rara intuizione critica Luisa Laureati lanciava, per questa casa del Sud, una sfida all’amico incisore di Fabriano Roberto Stelluti, quasi a provocare, a confronto con l’orizzonte mutato e la sua luce abbagliante, un’inversione del consueto linguaggio aspro che narra una porzione di Appennino talvolta desolato: e ne nasceva una visione inconsueta per l’artista, affidata, per le cure affettuose dell’amica committente, a una cartella destinata, in una generosa circolarità, quale dono augurale agli amici più cari.
È straordinario che un luogo possa farsi innesco per avventure intellettuali e concrete insieme: fare qualcosa, e farlo bene, come le riconosceva l’amica Paola Barocchi, in una lettera del 2 giugno 2007: «Carissima Luisa, grazie dei preziosi libretti, che mi confermano la tua vissuta tenacia. Anche io da lontano ti sono vicina nel fare e fare bene, nonostante le infinite difficoltà». I «preziosi libretti» erano i cataloghi della Galleria; perché sulle pareti dell’Oca i libri erano stati sì sostituiti dalle carte e dai quadri degli amici pittori, ma Luisa Laureati non aveva dimenticato le sue radici di libraia e ogni sua mostra si accompagnava a quei «preziosi libretti», che riscuotevano il plauso di Paola Barocchi, affascinata al pari di Luisa dall’amore per una editoria d’eccezione; per quei cataloghi, sempre curatissimi, che ora potrebbero costituire una preziosa collezione di libri d’autore, si poteva contare sulla collaborazione di Gabriele Stocchi, la cui sapienza era pari alla riservatezza, e che per l’amica inventò tra gli altri, nel 1974, il leporello di Itinerario mitologico.
E c’era poi la casa di Fabriano, il luogo dei ricordi, cui ci conduce una testimonianza di Luisa stessa quando nel gennaio 2021, sempre giorni di pandemia e di solitudine, aveva provato a metter per iscritto alcune riflessioni sulla sua vocazione per l’arte, e l’aveva ricondotta a un episodio lontano della sua infanzia a Fabriano: «In questo amarcord mi sono ricordata che d’estate mentre ero a Fabriano e avrei dovuto studiare, invece, sostituivo lo studio sfogliando enormi pacchi di riviste che arrivavano a mio zio medico, ora non ci sono più. Erano fatte benissimo, da qualche casa farmaceutica illuminata, e ogni numero era dedicato ad artisti dell’Ottocento, da Ingres agli Impressionisti. Era per me un grandissimo godimento, mi faceva allontanare dai miei noiosi doveri e ancor più noiosi soggiorni a Fabriano. Ricordando questo, completamente sommerso nel passato, mi sono resa conto che non avrei potuto fare che il mestiere che ho fatto tutta la vita, a questo non avevo mai pensato».
Quella casa a Fabriano, che Luisa ricordava piena di opere regalate a suo padre da artisti marchigiani, esiste ancora amorosamente custodita dalla sorella Laura; ma nello stesso palazzetto del centro storico della cittadina, anche Luisa aveva ritagliato per sé, grazie, ancora una volta, alla sapienza di Tato, un buen retiro, che si sarebbe rivelato, questa volta, per nulla noioso, perché destinato ad accogliere – secondo la consueta quotidiana convivialità – gli amici, che nelle sere estive avrebbero intrecciato ricordi e dialoghi, mai frivoli, mai a vuoto; in un discorrere sereno nel quale ognuno, sotto la sapiente regia di Luisa, poteva avvertire l’agio di una affettuosa accoglienza; e tutti, intanto, avrebbero goduto delle ceramiche di Giosetta Fioroni che animavano le pareti del gazebo; e chi si fosse fermato troppo a lungo avrebbe pernottato nella piccola foresteria in fondo al giardino dei profumi, scrigno destinato ai giochi di carte di Giulio Paolini.
La casa di via della Mercede fu insieme galleria, studio e point de repère nella topografia romana. Galleria, perché negli spazi lasciati vuoti dalla biblioteca di Giuliano Briganti, Luisa, con «una costanza senza ritorno», che riconobbe a sé stessa in quei giorni del 2021, dette nuovamente vita all’Oca, dove l’ultima mostra, La felicità del dipingere, era stata dedicata nel 1996 a Filippo De Pisis. Studio era la grande stanza con un tavolo ordinatamente coperto di libri e carte, le pareti fitte di una biblioteca rara dedicata all’arte del Novecento, un soppalco con le filze dell’archivio di Galleria: lì presero avvio due straordinari progetti di Luisa, mai sazia di inventare e condividere: il sito dedicato a Giuliano Briganti, e quello dedicato alla sua Galleria (on-line a breve a cura di Giulia Lotti).
E ci fu infine Piazza Costaguti, dove Luisa con indomito spirito organizzativo traslocò nel 2018, accettando a ottant’anni un cambiamento radicale come una possibilità di rinnovamento: «finalmente – disse – posso avere una parete per il Kounellis»: pannelli di lamiera arrugginita e corrosa con acidi, davanti ai quali erano tese reti metalliche, in un dialogo misterioso e inquietante con una antica tovaglia ricamata che pendeva dall’alto.
Quell’opera era stata esposta nel 1991 a Metafore, la mostra che affiancava Kounellis e Paolini in nome di una medesima leggerezza a dispetto delle indiscutibili difformità che qualificavano le rispettive scelte linguistiche: leggerezza dell’aria per Giulio, leggerezza del fuoco per Gianni. Così scriveva Giuliano Briganti in catalogo, e con un passo altrettanto leggero Luisa Laureati ha camminato nei territori accidentati dell’arte contemporanea, affettuosa e complice custode dei sogni dei suoi amici artisti. Fu questo il punto su cui si stabilì una irripetibile stagione di affinità con Giuliano Briganti che di sé disse sempre il sospetto per le ideologie della critica d’arte militante, il linguaggio e le strategie che orientano su facili e rassicuranti binari la navigazione nell’arte contemporanea. Rifuggiva anche Luisa dalle astrazioni e dalle camicie di forza semantiche, ma i racconti della sua vita a fianco degli artisti, e i dialoghi che ha sempre intessuto con loro, inanellavano folgoranti intuizioni: «Ha avuto la fortuna di vivere in un momento magico della storia della cultura e di non essere italiano -– scriveva a Giulio Paolini l’11 dicembre 2011 a proposito di una esposizione di Magritte – Questa ultima mostra a Vienna mi pare mi abbia fatto capire molte cose mi pare che tutto nasca da Duchamp e speriamo muoia con Cattelan».
E gli storici dell’arte, spesso accartocciati in sterili teorie lontane dalle opere, troveranno nell’archivio di Luisa Laureati Briganti i segni di un infallibile senso della qualità e della storia.