
Una mossa calcolata che rischia di restare solo propaganda
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Landslide
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La trasformazione di Monte dei Paschi negli ultimi mesi non è stata solo una questione finanziaria, ma un cambio di potere vero e proprio. Con l’operazione di scambio azionario che ha portato Siena a possedere oltre l’86 % di Mediobanca, è nato un nuovo polo bancario: un gigante che concentra in un unico blocco credito commerciale, gestione patrimoniale e una posizione di forza nel capitale di Generali, la più grande compagnia assicurativa italiana.
Secondo diversi osservatori, dietro questo riassetto spicca un nome: Francesco Gaetano Caltagirone. Imprenditore, costruttore, editore, investitore, è lui che negli ultimi anni ha costruito silenziosamente una posizione che oggi lo rende uno dei protagonisti assoluti della finanza italiana. Ha portato la sua quota in Mps oltre l’11 % e ha avviato presso la Bce la richiesta per superare il tetto del 10 %, così da avere pieni diritti di voto. Caltagirone ha dichiarato di agire da solo, senza patti parasociali, ma più analisti ritengono che la sua presenza, unita a quella di Delfin (la holding della famiglia Del Vecchio) e di altri alleati, possa creare un blocco in grado di orientare le decisioni strategiche.
Il governo resta in campo come terzo azionista, attraverso il Ministero dell’Economia, ma il suo ruolo è ora più quello di garante che di controllore diretto. Lo Stato aveva salvato il Monte negli anni della crisi, ma ora deve convivere con un azionariato privato forte e deciso a contare.
La vera partita è Trieste. Mediobanca ha il 13 % di Generali e, sommando le quote di Mps, Delfin e Caltagirone, ci si avvicina al 30 % del capitale. Non si tratta ancora di un controllo, ma di una presenza capace di incidere sulla governance. Generali custodisce una parte importante del risparmio delle famiglie italiane e le sue scelte pesano sull’economia del Paese. Il ceo Philippe Donnet sta portando avanti un piano industriale che prevede dividendi e riacquisti di azioni per 8,5 miliardi in tre anni, ma anche un’alleanza con la francese Natixis che è oggetto di discussione politica. Il governo ha espresso più volte la necessità che operazioni di questa portata non mettano a rischio la sovranità finanziaria italiana. Proprio per questo l’intesa è sospesa in attesa che la “catena azionaria” di Generali si stabilizzi: in altre parole, che si chiarisca chi avrà il ruolo di riferimento nelle scelte future.
Un ulteriore elemento è la causa miliardaria intentata contro Mps dalle società del gruppo Caltagirone. Si tratta di una richiesta di risarcimento superiore ai 700 milioni di euro per presunti danni legati ai bilanci presentati negli anni della crisi. È una vertenza pesante, e la sua esistenza aggiunge complessità al nuovo ruolo dell’imprenditore come grande azionista: da un lato rivendica i torti subiti, dall’altro partecipa alla definizione della strategia della banca.
Molti analisti sottolineano che il potere di Caltagirone non si limita ai consigli di amministrazione. Il gruppo editoriale che controlla, le relazioni con la politica e il peso economico lo rendono un interlocutore inevitabile per governo e istituzioni. Non è solo un investitore: è un attore di primo piano nel sistema. Secondo alcune letture, questa concentrazione di potere segna una svolta per il capitalismo italiano. Da un lato può portare stabilità e strategie di lungo periodo, dall’altro riduce il pluralismo e rischia di condizionare la politica economica. È una partita che riguarda tutti, perché dalle decisioni di questo blocco passa una parte importante del risparmio e del credito del Paese.