
Eric Clapton & Stevie Wonder – Crossroads
10 Ottobre 2025
di Pierluigi Piccini
Il confronto sul nuovo Piano Strutturale di Siena si è aperto in Commissione Assetto e Territorio con toni entusiastici: “visione”, “coraggio”, “orgoglio”, “onore”. Parole che evocano un futuro possibile, ma che rischiano di nascondere un nodo più profondo: la coincidenza, ormai evidente, tra i tecnici incaricati della redazione del Piano e gli attuali amministratori comunali.
I tecnici, di fatto, si sono sostituiti agli assessori, assumendo un ruolo politico oltre che operativo. È un’anomalia che riduce la distanza critica e trasforma un processo che dovrebbe essere collettivo in un esercizio autoreferenziale.
Il Piano Strutturale è, per definizione, lo strumento che orienta le scelte urbanistiche e territoriali per i prossimi decenni. Dovrebbe essere il frutto di un dialogo equilibrato tra la politica (che decide gli indirizzi), la tecnica (che li traduce in progetto) e la cittadinanza (che li verifica). A Siena, questa distinzione sembra ormai svanita. La stessa Commissione, più che luogo di confronto, è apparsa come una sede di presentazione di un lavoro già definito altrove.
A ciò si aggiunge un’altra contraddizione: la testa rivolta indietro.
Il richiamo ai piani di Piccinato e Secchi, e agli studi di Aalto e De Carlo, introduce senza dubbio un utile livello di profondità storica e tecnica, ma segnala anche un atteggiamento di nostalgia. Si guarda a un passato glorioso più che alle sfide del presente: abitazioni, degrado, mobilità, servizi, spopolamento del centro. Il rischio è di ripetere modelli ormai superati, in una città che ha bisogno invece di una visione nuova, capace di leggere le trasformazioni sociali, economiche e ambientali in corso.
Anche le “idee innovative” citate – il Parco Urbano, il centro per la convegnistica, i musei delle Contrade, il riuso di spazi oggi sottoutilizzati – restano suggestioni più che strategie. Nessuna quantificazione economica, nessuna contestualizzazione urbanistica o sociale: manca la traduzione concreta delle intenzioni in scelte verificabili.
Sul piano comunicativo, domina un tono enfatico e autocelebrativo. Parole come “coraggio” e “orgoglio” rischiano di coprire le vere questioni, spostando l’attenzione dalla sostanza al racconto. Si parla di un “progetto per tutti”, ma non si spiega chi sarà coinvolto e come. La partecipazione, evocata nelle dichiarazioni, rimane un concetto astratto, senza strumenti o percorsi reali.
Siena non ha bisogno di un piano costruito in solitudine, ma di un laboratorio civico di idee, dove amministratori, tecnici, cittadini, imprese e istituzioni possano discutere apertamente di sviluppo e qualità urbana.
Un Piano Strutturale non è un manifesto d’intenti: è una responsabilità pubblica.
E richiede non solo memoria e competenza, ma anche l’umiltà di guardare avanti, con la testa rivolta al futuro e non al passato.