
Siena è in utile, ma non sta meglio
13 Ottobre 2025
In Toscana ha votato meno della metà degli aventi diritto: il 47,8 per cento. È il dato più basso nella storia delle elezioni regionali, quindici punti in meno rispetto al 2020. Non è un episodio isolato ma un segnale strutturale, che racconta la crisi più profonda della democrazia italiana: la perdita di fiducia nella possibilità del voto come strumento di cambiamento. Un elettore su due ha scelto di non partecipare, e quel silenzio pesa più dei voti espressi.
Secondo il Corriere Fiorentino, il calo dell’affluenza è omogeneo in tutte le province, segno che non si tratta di un’anomalia territoriale ma di un fenomeno generale. Antonio Floridia, studioso di partecipazione elettorale, lo ha spiegato con chiarezza: “oggi manca la chiamata alle armi”. Nel 2020, quando la sfida tra Giani e Ceccardi appariva incerta, il voto era stato percepito come decisivo; questa volta la sensazione diffusa è che nulla sarebbe cambiato, qualunque fosse l’esito. Cristina Soare, docente di Scienze Politiche a Firenze, ha messo in luce un altro aspetto: chi si astiene di più non è chi non capisce la politica, ma chi ne è stato escluso. Giovani, precari, persone con basso livello di istruzione: chi ha meno voce nella società tende anche ad averne meno nelle urne.
È un mutamento profondo. La Toscana, che per decenni è stata sinonimo di civicness, di senso comunitario, di partecipazione, sembra oggi vivere una forma di smarrimento collettivo. Non si tratta di apatia, ma di sfiducia organizzata. La Regione è percepita come un apparato tecnico, un’amministrazione che gestisce ma non guida, che distribuisce risorse ma non indica una direzione. In questo vuoto di visione si perde il valore del voto. Molti cittadini, soprattutto nelle aree interne e nei piccoli comuni, non vedono più un nesso tra ciò che accade alle urne e ciò che accade nella loro vita: ospedali che chiudono, servizi che si riducono, scuole che faticano a restare aperte. L’astensione, allora, diventa la forma estrema della delusione: non voto perché non credo più che serva a qualcosa.
La crisi della rappresentanza ha anche una dimensione sociale. Chi continua a votare appartiene, in larga parte, ai segmenti più istruiti, più stabili, più protetti. Il voto si è trasformato in un atto di cittadinanza “selettivo”, che conferma le disuguaglianze anziché ridurle. Le persone più fragili, più lontane dai centri del potere, rinunciano perché non vedono riconosciuto il proprio ruolo nel processo democratico. È un impoverimento non solo numerico ma morale: la politica smette di essere il linguaggio del popolo e diventa quello di chi già ne fa parte.
In questo contesto, anche la vittoria di chi risulterà eletto avrà un peso limitato. Governare con il consenso di un quarto degli aventi diritto significa esercitare un potere formalmente legittimo ma sostanzialmente fragile. La democrazia resta in piedi nelle sue procedure, ma si svuota della sua energia vitale: la partecipazione. La Toscana, che un tempo era il laboratorio di una sinistra diffusa e di un modello amministrativo fondato sul pubblico, oggi vive una stanchezza che è prima di tutto identitaria. Non è più chiaro chi siamo, né cosa significhi oggi essere “toscani” in senso politico e civile.
Ricostruire la fiducia non sarà semplice. Non basteranno gli appelli all’unità o le campagne di comunicazione. Occorre cambiare il modo di fare politica: tornare nei territori, nelle scuole, nei luoghi di lavoro; restituire visibilità a ciò che la Regione può fare davvero; dare concretezza a parole logorate come “uguaglianza”, “transizione”, “sviluppo sostenibile”. Bisogna mostrare, con esempi tangibili, che il voto ha un effetto reale sulla qualità della vita. E serve un linguaggio nuovo, non tecnico ma narrativo, capace di far sentire le persone parte di una storia comune.
L’astensionismo non è un difetto di funzionamento del sistema: è il suo giudizio. È la conseguenza di una politica che ha perso il contatto con la realtà sociale e che parla solo a chi già le somiglia. Finché non si affronterà questo nodo, ogni vittoria sarà amministrativa, non politica; ogni governo, parziale; ogni promessa, vuota.
La Toscana resta una regione consapevole, ma stanca. Il suo silenzio non è indifferenza: è una domanda di autenticità, di rappresentanza vera, di futuro. Finché la politica non saprà ascoltare la metà che non vota, la democrazia resterà formalmente intatta ma sostanzialmente dimezzata. E la Toscana, che ha insegnato per decenni all’Italia il valore della partecipazione, rischia oggi di diventare il simbolo della sua fine.