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14 Ottobre 2025Una tregua dai volti illusori
Con dono Una sorta di condominio da gestire con gli arabi ricchi per amministrare i poveri e recalcitranti palestinesi
La pace secondo la coppia Trump-Netanyahu ha due volti. Quello della forza militare e tecnologica di Usa e Israele, che minaccia sfracelli per chiunque, e quello del denaro che serve non solo a ricostruire Gaza ma a imporre un protettorato d’affari, come scriveva sabato scorso Tommaso Di Francesco sul manifesto.
Una sorta di condominio da gestire con gli arabi ricchi per amministrare i poveri e recalcitranti palestinesi.
I palestinesi in questa visione politicamente distorta ma mediaticamente efficace sono comparse e il loro stato sparisce. E s’è c’è un obiettivo è quello di dividerli in lembi di terra frammentata e polverizzata. La Striscia continuerà a essere occupata per metà da Israele (il ritiro non sembra proprio all’ordine del giorno) mentre in Cisgiordania prosegue l’avanzata illegale di coloni armati e la divisione arbitraria in due parti della West Bank.
Questa è la “vittoria” che propone Trump a Netanyahu e a una comunità internazionale discretamente stordita sul lato occidentale, oppure ingolosita da un fiume di denaro e di affari su quello mediorientale (Turchia ed Egitto, per esempio, attirati dai soldi di Qatar e monarchie del Golfo). Non dimentichiamo come ci si è arrivati. La svolta è stata quando il 9 settembre Israele ha bombardato i mediatori di Hamas a Doha, senza preavvisare l’emiro che ospita ad Al Udeid 10mila marine. Netanyahu aveva bombardato uno dei migliori clienti delle armi americane: rendendo Trump e gli alti gradi furenti. Non è un caso che il Pentagono abbia appena annunciato l’apertura di una base aerea del Qatar in Idaho: i clienti della Casa Bianca non si toccano, un messaggio che deve essere chiaro a tutti.
La logica di Trump è questa. Dopo la liberazione degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi, si è proposto nel suo discorso alla Knesset, punteggiato da applausi scroscianti, come il presidente di un “Consiglio della Pace” – il più ricco della storia, ha detto lui – che poi è una sorta di comitato d’affari. Il cuore pulsante nella sua strategia di quel Patto di Abramo dove i ricchi, d’accordo con Israele, dettano l’agenda ai poveri e a quella Striscia di Gaza oggi ridotta a un cimitero di macerie.
In questa versione della storia il 7 ottobre, il massacro di Hamas, giustifica tutto. C’è una gran fretta di liquidare quello che è avvenuto – Trump ha pubblicamente chiesto a Herzog per Netanyahu la grazia per i processi interni di corruzione – soprattutto seppellire anche la memoria del genocidio israeliano mettendo le ruspe al lavoro per rimuovere non solo le macerie materiali ma anche quelle morali e le responsabilità. Tutti assolti. Gaza in questa ottica deve diventare una sorta di vetrina dove il prossimo anno mostrare al mondo un luccicante Nobel per la pace. In una giornata densa di emozioni, si tendeva a dimenticare che da Camp David a Oslo la pace ha avuto le sue vittime illustri, come Sadat e Rabin. E ora la tregua si fa su una montagna di cadaveri. Solo i dilettanti hanno potuto pensare di andare ieri a Sharm el Sheik come a un galà della pace dove esibire il biglietto di invito: qui niente è gratis.
Ma il potere dei soldi tende sempre a nascondere qualche trappola politica. Anche i più sprovveduti capiscono che questo è un cessate il fuoco senza un processo di pace, una tregua ottenuta per un’ imposizione di Trump e non con un negoziato tra le parti.
L’aspetto più complicato di questo accordo è quello della sicurezza in un territorio devastato da due anni di guerra, soprattutto se la forza di stabilizzazione internazionale prevista dal piano non dovesse essere messa in piedi rapidamente. Ma quale sarà il suo mandato? Appoggiare un’entità palestinese che ancora non esiste o incaricarsi direttamente di imporre l’ordine? E soprattutto l’interrogativo è chi disarmerà Hamas, visto che non intende fare passi indietro fino a quando Israele continuerà a occupare una parte della Striscia. Nell’indecisione intanto Trump dà, «incredibilmente» l’approvazione perché Hamas sia la forza di polizia «temporanea» a Gaza.
Una tregua senza processo di pace e priva di un orizzonte politico per i palestinesi è destinata a fallire. Ieri a Sharm el Sheikh era presente Abu Mazen anzianissimo capo della traballante Autorità palestinese che fatica a sottrarre terreno e consensi in Cisgiordania a Hamas e alla Jihad islamica, La ventilata fine dell’Islam politico, nonostante le sconfitte dell’”asse della resistenza” capeggiato dall’Iran, non sembra vicina. Ma Trump lo sa perfettamente: in Arabia saudita è arrivato a stringere la mano al presidente siriano Al Shara, già noto membro di Al Qaida. Forse nel prossimo comitato d’affari trumpiano ci sarà posto pure per i jihadisti con le valigette dei contanti, come del resto ha fatto Netanyahu per anni nell’illusione di controllare Hamas.
Nel flusso dei discorsi, dei ragionamenti e delle emozioni di queste ore, la pace in Medio Oriente all’osservatore stagionato appare un po’ come quegli amori inseguiti per decenni e che poi puntualmente ti deludono. Vorremmo romanticamente sbagliarci.