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di pierluigi piccini
La provincia di Siena si conferma ancora una volta un’isola politica a sé: una roccaforte del centrosinistra che resiste a ogni vento nazionale, ma dentro cui si respira una crescente stanchezza civile.
Il Partito democratico consolida il suo primato con il 42 per cento dei voti e una coalizione che sfiora la maggioranza assoluta. La macchina del consenso ha funzionato, i candidati di riferimento hanno tenuto, e la segreteria provinciale di Andrea Valenti può rivendicare un risultato pieno. Ma il successo elettorale non cancella l’ombra che lo accompagna: un’astensione mai così alta, con meno di un elettore su due che si è recato alle urne.
Non è solo disaffezione. È la fine di un patto di fiducia tra cittadini e istituzioni.
La politica non mobilita più, non entusiasma, non racconta più il futuro.
A Siena, dove un tempo la partecipazione era parte del carattere collettivo, il distacco si fa più ampio proprio mentre il sistema dei partiti sembra tornare a un assetto “classico”: Pd da un lato, centrodestra dall’altro, e le forze minori a fare da contorno.
Fratelli d’Italia resta leader della coalizione avversaria, ma non scalfisce la supremazia locale del centrosinistra. Siena continua a respingere il linguaggio aggressivo della destra nazionale, ma non per questo ritrova slancio politico. Nel capoluogo, dove governa la giunta Fabio, il Pd torna primo partito: un dato che apre scenari nuovi per il 2028, ma non garantisce alcuna rinascita.
La tenuta del Pd è, in realtà, una vittoria “difensiva”: frutto di radicamento, di apparati che resistono, di candidature riconoscibili, non di un’idea nuova di Toscana o di Siena. Casa Riformista consolida l’area moderata, Avs cresce, ma sono movimenti dentro lo stesso orizzonte, non rotture di paradigma.
Il vero segnale politico, quello che dovrebbe inquietare tutti, è che i voti non bastano più a raccontare una società. Siena vince, ma con metà del popolo a casa. E senza popolo, anche la vittoria perde significato.
Per il Pd e per il centrosinistra la sfida non è più difendere una posizione, ma ricostruire un legame: ridare senso alla politica, riaprire le istituzioni alla partecipazione, rigenerare la fiducia.
Per il centrodestra, invece, è tempo di interrogarsi: perché dopo anni di guida nel capoluogo il radicamento resta nullo? Perché la provincia continua a percepire quella proposta come estranea alla propria storia e ai propri valori?
Mai come oggi Siena sembra racchiusa in un equilibrio che non tiene più: una sinistra che domina ma non entusiasma, una destra che esiste ma non cresce, una società che osserva da lontano.
Eppure, da questa immobilità, potrebbe nascere un nuovo inizio — se qualcuno avrà il coraggio di parlare non solo ai fedeli, ma agli assenti.