Bisognava esserci, giovedì, nella grande sala vaticana Paolo VI, e vederli arrivare per l’udienza con papa Leone, tutti insieme. Una folla multicolore. Attivisti, sindacaliste, preti, suore, le donne del Congo come Micheline Mwendike Kamate, fondatrice dell’associazione Lucha e la messicana Gloria Morales Palo, il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich e i cartoneros argentini, i raccoglitori del cartone, la kefiah e lo stendardo della Guadalupana, la Madonna patrona dei popoli di lingua spagnola e del continente americano, i Sem Terra brasiliani e David Yambio di Refugees in Libya, calorosamente salutato dal papa alla fine dell’incontro.
Per inciso, Yambio figura tra gli intercettati di Paragon, insieme a don Mattia Ferrari, il giovane prete che dell’incontro dei movimenti è stato animatore indiscusso, diciamo pure leader riluttante. È toccato a lui infatti il compito di intervenire prima di papa Leone.
Nel complesso, un mondo alternativo a quello dei «ricchissimi e potentissimi» che piacciono tanto a Donald Trump e ai suoi alleati, gli stessi che lo circondavano durante il giuramento a Washington, ma anche a Sharm el-Sheikh. Erano a Roma per il quinto incontro mondiale dei movimenti popolari, riunito nello Spin Time, palazzo occupato nel cuore di Roma, citato dal papa, e per il loro Giubileo.
Un evento religioso, ma anche sociale, politico, molto voluto da papa Francesco e ripreso da Leone (i pallidi teorici della discontinuità tra i due pontificati sono serviti). Robert Francis Prevost ha consegnato ai movimenti un lungo discorso che è un programma di pontificato e il suo impegno più personale. «La Chiesa deve essere con voi», ma anche: «Voglio che mi sentiate dire “Ci sto!”, “sono con voi”!». «Terra, casa e lavoro sono diritti sacri. Vale la pena lottare per essi», ha titolato “l’Osservatore Romano”. Le tre T in spagnolo, Tierra, Techo e Trabajo, già care a Francesco, i principi non negoziabili per chi ha a cuore la dignità dell’uomo.
Leone ha parlato di esclusione, «è il nuovo volto dell’ingiustizia sociale», e di questioni meno esplorate, dalle grandi aziende che depredano i popoli con l’estrazione del litio delle loro terre al fentanyl che uccide i giovani negli Stati Uniti. Sul controllo dell’immigrazione ha usato parole più dure perfino del suo predecessore: «Non assistiamo al legittimo esercizio della sovranità nazionale, ma a gravi crimini commessi o tollerati dallo Stato. Si stanno adottando misure sempre più disumane – persino politicamente celebrate – per trattare questi “indesiderabili” come se fossero spazzatura e non esseri umani». Ma Prevost ha anche legato, in modo inestricabile, la scelta del suo nome alla questione sociale del XXI secolo. Leone XIII, con la Rerum Novarum, aveva affrontato le condizioni di sfruttamento dei lavoratori della sua epoca. Oggi Leone XIV affronta le cose nuove di questo tempo, con strumenti tutti da inventare, perché i vecchi da soli non reggono più.
«I sindacati tipici del XX secolo rappresentano una percentuale sempre più esigua dei lavoratori e i sistemi di sicurezza sociale sono in crisi in molti paesi; né i sindacati né le associazioni dei datori di lavoro, né gli Stati né le organizzazioni internazionali sembrano in grado di affrontare questi problemi… Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un vuoto etico, in cui il male entra facilmente. Perciò, i movimenti popolari, insieme alle persone di buona volontà, i cristiani, i credenti, i governi sono chiamati con urgenza a colmare quel vuoto».
La vecchia Chiesa, istituzione millenaria, arrivò in ritardo a scoprire la questione sociale, la democrazia. Ma si rivela più avanti dei governanti narcisi, a leggere la crisi della democrazia, il vuoto etico che avvelena le società occidentali. I «ricchissimi» sono invece espressione della «globalizzazione dell’impotenza», ma non serve lamentarsi o rifugiarsi nell’anti-politica. Leone XIV chiede un’altra politica, più politica, strumenti inediti, creativi, perché i vecchi non bastano più. I movimenti popolari sono tra questi. E da oggi e nei prossimi giorni a Roma ci saranno i popoli della pace riuniti dalla Comunità di Sant’Egidio.
Qualcosa di cui varrebbe la pena discutere. Invece nessuno ha ripreso le parole di Leone nel piccolo dibattito politico italiano. Non lo ha fatto la destra che riempie i discorsi di messaggio cristiano e lo riduce a crociata ideologica, con i neo-chierici che vanno a caccia dei voti cattolici nei meeting estivi e se ne disinteressano nel resto dell’anno, ma neppure la sinistra dispersa nei suoi schemi: il campo largo e stretto, il federatore e le primarie, il centro pariolino ovvero «il nuovo che avanza, che è solo il vecchio che ritenta», ora arrivano anche gli innaffiatoi riformisti nel Pd, ci mancavano. In questa palude, dal Vaticano si alza una voce che guarda il mondo e che invita a volare alto. A correre rischi, a essere profetici e, perché no, gioiosi.








