DIGEST STRATEGICO – Giovedì 30 ottobre 2025
30 Ottobre 2025
James Senese e il sassofono fiammeggiante degli ultimi
30 Ottobre 2025Cosa pensano gli italiani
Una ricerca di Università Cattolica e Ipsos-Doxa conferma che rimane l’opzione migliore in campo, anche per la Generazione Z Ma il binomio con la pace perde terreno: appena il 37% degli intervistati ritiene che possa realizzarsi solo in un regime democratico
Milano
La democrazia è debole ma non è morta. Lo dice una ricerca su democrazia e pace promossa da Polidemos, Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e Ipsos-Doxa. Secondo Damiano Palano, che dirige il centro di ricerca, «le democrazie liberali non hanno mai attraversato una fase di turbolenza come quella attuale » e nella ricerca, come ha spiegato alla presentazione di ieri a Milano Andrea Scavo, direttore Public Affairs di Ipsos-Doxa, ci sono «luci ma soprattutto ombre». Il 58% degli intervistati è ancora interessato dalla politica e la completa repulsione riguarda un limitato 8 per cento, pure in calo di tre punti dall’anno scorso, ma anche il trend dell’interesse popolare per la politica è negativo (68% nel luglio del 2021) e paiono in peggioramento quelle che vengono definite “sindromi” della democrazia: il 65% condivide un senso di inutilità della politica; nel giugno scorso era il 58%. La svalutazione della politica è un fenomeno che interessa particolarmente gli italiani più anziani (over 60), ma questo non significa che siano disfattisti: semplicemente, hanno sperimentato un’altra politica, in passato, e adesso la vorrebbero più impattante. Il 64% considera “guasta” la società e il 53% (il 34% un anno fa…) è pronto a cercare un modo diverso per governare l’Italia. Più incline a questa soluzione l’elettore di centrodestra. A sorpresa, però, non si scivola verso l’autoritarismo: innanzi tutto, soprattutto i giovani della generazione Z sono ancora propensi a vivere in una società democratica pur scontando qualche problema di efficienza (in totale, la democrazia regge come scelta per il 42%, contro il 28 che la sacrificherebbe) e solo il 16% degli intervistati vorrebbe concentrare i poteri nel governo: il 52% crede che serva maggiore partecipazione dei cittadini, attraverso la democrazia diretta e i referendum. Un segnale che la democrazia è ancora vitale, ma a patto che, come ha detto Rossella Sobrero presidente di Koinetica, si superi l’attuale crisi di fiducia con un recupero della responsabilità individuale. A confermare che non tutto è perduto concorre la tendenza a cercare una soluzione riformista, che convince ancora il 44% contro il 35 che adotta un approccio radicale. Sia chiaro: le opinioni restano pessimistiche e drastiche, come dimostra l’avversione per la classe politica (79%) e la convinzione che faccia interessi propri e non comuni (76%).
Nel malessere hanno un certo peso, è stato rilevato, la marginalità sociale e il grado di istruzione; non lo migliora il contributo dell’informazione, tacciata di distorcere le notizie: il 68% non si fida proprio. C’è più fiducia nei corpi intermedi, “essenziali” per il 43%. La ricerca contiene anche un termometro della democrazia, secondo il quale la sfiducia sistemica (67) e l’antipolitica (70) raggiungono valori elevati, ma è uno spazio che ancora non viene conquistato dall’autoritarismo (33).
In questo quadro pare spezzarsi il link democrazia- pace: solo il 37% ritiene che non ci possa essere pace in un mondo non pienamente democratico e chi la pensa diversamente raggiunge il 34%: sono i più anziani a credere che democrazia sia sinonimo di pace, evidentemente perché hanno vissuto quello scenario che oggi è saltato. Per contro, dalla ricerca emerge una forte contrarietà alle spese militari italiane: il 45% è del tutto contrario e il 22 poco favorevole ed i favorevoli si fermano al 18%, dato che si riduce quando si chiede agli intervistati se sarebbero disponibili a finanziare le armi con la spesa sanitaria. Un segnale che «i costi della spesa militare sfuggono alla percezione collettiva» commenta l’economista Raul Caruso. ««Mi preoccupa – ha detto alla presentazione – che le imprese siano considerati degli attori non importanti, come pure le banche nonostante il fatto che tutti i fenomeni connessi ai diritti da quelli delle donne a quelli dei disabili – si generino a partire dal posto di lavoro». In effetti, gli intervistati percepiscono centrali nella costruzione della pace le ong e le onlus, la Chiesa e il volontariato (tutte al 22%) e persino l’università (10), ma le imprese in questo sondaggio si collocano al 3% e le banche all’uno. «Dobbiamo indurle ad assumersi le loro responsabilità» ha commentato Nicoletta Alessi, presidente di Good Point. Un ottimismo che pare assecondato dagli intervistati: il 26% è convinto che promuovere un sistema economico di libero scambio aiuti la pace, come favorire la diffusione delle democrazie liberali (24) e rafforzare le istituzioni sovranazionali (22).





