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1 Novembre 2025
STORIA SENTIMENTALE DEL PD
1 Novembre 2025
di Lucrezia Reichlin
Dopo gli eventi recenti, e in particolare l’ultimo round dei negoziati Trump-Xi, la domanda è se si stia assistendo ad un ritorno agli imperi del diciannovesimo secolo o al contrario ad un rafforzamento del nazionalismo.
Le istituzioni nate con Bretton Woods per disegnare le forme della cooperazione internazionale si basavano sullo Stato- nazione. Tuttavia, è già dagli anni Ottanta, con l’esplosione della globalizzazione, che quel sistema è andato in crisi perché le liberalizzazioni di beni, servizi e capitali hanno reso le nazioni sempre più impotenti a governare le loro economie. I Paesi emergenti, perché in balia di enormi flussi di capitali a breve durata che hanno reso il loro tasso di cambio estremamente volatile e dipendente dalla politica monetaria degli Stati Uniti e, i Paesi avanzati, perché la globalizzazione ha reso più difficile attuare quelle politiche di coesione sociale su cui si basava il loro equilibrio interno. Inoltre, con lo svilupparsi delle catene del valore, il commercio internazionale ha perso la sua connotazione nazionale e ha preso la forma di scambi tra e all’interno delle grosse multinazionali. La sovranità dei Paesi singoli ne è risultata erosa poiché questi ultimi hanno perso il controllo della loro politica economica.
Si guarda oggi agli anni della cosiddetta «grande moderazione», il periodo di stabilità che va dalla metà degli anni Ottanta fino alla crisi finanziaria del 2008, con nostalgia.
M a il regime che l’aveva generata, pur avendo sì prodotto crescita e stabilità, ha anche causato quegli squilibri che quella stabilità hanno finito per erodere. Il 2008 ha mostrato in modo devastante quanto quel regime fosse fragile.
La Cina di Xi, con il suo nazionalismo assertivo, è anche il prodotto della consapevolezza che la continua espansione dell’economia cinese non avrebbe potuto continuare basandosi solo su quella impostazione della globalizzazione. Negli Stati Uniti è successo qualcosa di simile. Biden e Trump, con stile diverso, hanno proposto un nazionalismo aggressivo. Si è passati da un sistema cooperativo tra nazioni a un sistema in cui tutto può essere negoziato e la forza coercitiva è il fattore principale per l’esito del processo. Di fronte agli occhi sbalorditi dei ben pensanti, Trump ha sparigliato le carte e di fatto dichiarato che delle regole del multilateralismo se ne infischia.
Ma questo nuovo regime è un ritorno ad un nazionalismo più robusto o agli imperi del diciannovesimo secolo?
Invece degli imperi, oggi abbiamo due giganti — Cina e Stati Uniti — e degli aggregati regionali, di cui l’Europa è il principale, ma non il solo. È un’illusione pensare che questo sia un ritorno al sistema prevalso dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Ottanta, in cui gli scambi economici erano guidati da rapporti tra Stati sovrani in grado di determinare il loro destino. A livello politico sta nascendo un sistema ibrido, dominato da Stati nazionali con connotati imperiali. A livello economico, il sistema continua ad essere caratterizzato da una globalizzazione che ignora le frontiere.
In questo contesto il nazionalismo classico non funziona. Per un Paese come l’Italia restare ancorati all’Europa e anzi guidare le riforme necessarie a renderla più efficace è il modo migliore di difendere gli interessi nazionali. La motivazione per un’Europa forte e coesa non è mai stata così evidente. Cerchiamo quindi di non paralizzarla costringendo le decisioni alla regola dell’unanimità.





