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17 Settembre 2022di Giulia Addazi
A scuola si parla oramai di tutto, con l’introduzione dell’educazione civica lo spazio della lezione è ulteriormente invitato ad aprirsi al mondo, negli spazi di autogestione (pochi) che lə studenti possono organizzarsi c’è spazio per i diritti, per il benessere sessuale ed affettivo, per la crisi climatica. Anche nell’ambito dei PTCO è possibile (nel bene e nel male) che lə ragazzə incontrino realtà e discorsi che prima erano fuori dalla scuola. C’è però una specie di paradosso per cui a scuola si parla ancora troppo poco di scuola, quasi fosse un tabù. Per questo motivo, quando è uscito Voi siete il fuoco di Vanessa Roghi ho pensato che fosse un libro importantissimo, un libro di cui la scuola tutta avesse bisogno.
Sarebbe molto difficile parlare di Voi siete il fuoco astraendolo dall’esperienza didattica quotidiana, perché in tutto e per tutto è un libro scritto e pensato per mettere in moto qualcosa, per accendere le coscienze, uno strumento che prelude a una pratica di liberazione. Per parlare di Voi siete il fuoco mi si permetterà, allora, di partire dalla nostra esperienza, mia e della classe con cui lo sto leggendo.
Un mesetto fa mi hanno fatto coordinatrice di educazione civica in una seconda liceo. L’insegnamento dell’educazione civica è stato introdotto con una legge nel 2019 e dallo scorso anno scolastico le scuole hanno dovuto adeguarsi, rivedendo i curricoli d’istituto, cioè provando a capire come declinare l’insegnamento – trasversale – dell’educazione civica all’interno di una routine didattica già affannata (sempre a rincorrere voti e programmi). Ogni scuola ha trovato il proprio modo di spalmare le 33 ore annuali previste, ridividendo il carico orario tra diverse discipline. Nella mia scuola, ad esempio, hanno preparato una griglia: ogni annualità tre discipline si dividono il monte ore. Nella griglia sono anche indicati degli “argomenti” che, nei programmi delle materie prescelte, la commissione incaricata ha individuato come pertinenti alle indicazioni ministeriali. In filigrana si legge il sentimento comune con cui la legge viene tradotta da molti docenti: identificare parti di programma che ci potrebbero entrare con l’educazione civica, tirare dritto con i programmi così come si è sempre fatto, smistando semplicemente alcune ore sotto l’etichetta educazione civica del registro elettronico.
A prescindere dalle modalità di introduzione e attuazione, personalmente non credo che l’insegnamento dell’educazione civica sia una perdita di tempo e la lamentela più comune – e cioè che comunque, in un modo o nell’altro, noi facciamo sempre e in tutto educazione civica – mi sembra tutto sommato un modo per sguisciare, per sottrarsi a una sfida educativa che è invece importante se consideriamo che la crescita degli individui che abbiamo di fronte o è globale oppure non è. Mi sembra quindi importante avere uno spazio e un tempo dedicati, e soprattutto avere l’obbligo di progettare un percorso, con obiettivi, tempi, strumenti e modalità di valutazione, senza che l’educazione civica sia ridotta a un’ora spot in cui lə docente parla della condizione delle donne afghane o della crisi climatica.
Perciò, mentre la maggior parte dei colleghi si limitava a copiare il contenuto della griglia d’istituto, ho pensato che lavorare sul libro di Vanessa Roghi potesse essere un percorso sensato, coerente con gli obiettivi ministeriali (tra i quali c’è la conoscenza dei principi costituzionali) ma non disancorato dalla realtà dellə studenti. E così, nonostante un collega che ci ha particolarmente tenuto a farmi notare che non stavo rispettando la programmazione d’istituto, ho adottato Voi siete il fuoco come testo cardine del percorso di educazione civica in una seconda liceo.
Abbiamo cominciato seguendo l’esempio di Vanessa storica. I primi capitoli sono infatti dedicati al metodo storico: qui, con grande intelligenza, Roghi parte da un episodio personale – la storia della coperta – per parlare di metodo storico e di fonti. In particolare, seguiamo incuriositi una Vanessa bambina che frequenta le elementari a Grosseto, elementari con il tempo pieno in cui parte dell’orario scolastico è dedicato ai laboratori. In uno di questi laboratori Vanessa realizza una mattonella all’uncinetto e come lei moltə altrə bambinə. Alla fine dell’anno la maestra le cuce insieme e le mette in vendita. Vanessa non crede possibile che qualcuno la compri per lei e invece, come in una favola, arriva suo papà e compra la coperta. E Vanessa se la porta appresso per tutta la vita. Quando anche noi siamo oramai affezionatə alla coperta, Vanessa ci chiede se quella coperta non sia anche una fonte storica, qualcosa che ci parla di una scuola con una particolare idea educativa. Ed ecco che qualcosa, in noi, si mette in moto, si accende. La settimana seguente anche noi portiamo in classe i ricordi dei cicli scolastici precedenti, dal nido alle medie. Raccontiamo storie e, naturalmente, ci facciamo domande.
A cominciare è Federico, che ci parla di quanto gli piacessero la scuola dell’infanzia e i primi anni di elementari. Oggi Federico non è proprio uno studente solerte e quindi ci chiediamo: quando è successo che ha smesso di piacerci andare a scuola, e perché? Poi Matteo ci porta i suoi album di figurine e qualcuno ricorda di tutte le forme di economia alternativa, basata su scambi, baratti, monete inventate, produzioni di oggetti di carta da smerciare in tutta la scuola che caratterizzano più o meno ogni comunità scolastica. Allora ci chiediamo: dov’è lo spazio per l’autonomia e l’autogestione, di cui pure sappiamo di essere capaci? Da lì, abbiamo visto gli album di Flavia e Jasmine, i diari di Chiara e Lucrezia. Jon ci ha raccontato com’è la scuola in un paese diverso dall’Italia, Enea di una maestra che usava metodi antiquati, basati sul controllo, sulle punizioni e sulla coercizione anche fisica. Da ogni storia nascevano domande: quanto lo spazio influenza le relazioni e l’apprendimento?(e infatti oramai mettiamo i banchi a ferro di cavallo ogni volta che possiamo) Che tipo di relazione dovrebbe esserci tra insegnante e studente? Quanto conta la formazione pedagogica dellə insegnanti? Quanto quella disciplinare? Che senso hanno le note? E i voti?
Anche noi, partendo dalle nostre microstorie, ci interroghiamo e cerchiamo di ricostruire una storia più grande, sempre accompagnati dalle parole di Vanessa. La parola pedagogia diventa sempre più presente nei nostri discorsi e, quando a un certo punto la sento pronunciata da qualcunə di loro, realizzo che qualcosa sta cambiando.
Continuiamo a leggere (stiamo ancora leggendo) e nuovi spunti arrivano ad arricchire il nostro discorso. Leggendo di Rousseau, a proposito dell’educazione di Emilio, sottolineiamo la seguente frase, riferita alla scuola del Settecento: «Lo scopo è quello di riprodurre persone, come fa una fotocopiatrice, in tutto e per tutto uguali ai propri genitori». Ci chiediamo se in qualche modo non sia ancora così, pur non avendo loro mai sentito parlare di Bourdieu.
L’impatto con Voi siete il fuoco è stato, fin dalle prime pagine, sorprendente. Roghi riesce a trasferire tutta la sua passione e la sua competenza di storica in queste pagine e a compiere il miracolo di farlo in una lingua perfettamente accessibile. Il segreto di questa capacità magnetica sta probabilmente nella scelta di non scrivere soltanto un testo sulla scuola adatto a studenti, ma di farlo parlando direttamente a loro, a ciascunə di loro, direttamente, come è evidente fin dal titolo, quel Voi in cui sta l’innesco più potente di questo libro. Mi ha scritto Flavia che le piace «il rapporto scrittore/lettore molto fluido, quasi a mo’ di conversazione» e che «la presenza di domande dirette al lettore, quindi a me, rendono il libro ancora più interattivo».
Questo essere interpellatə spesso, sentirsi chiamatə in causa, questo essere allo stesso tempo lettorə e protagonistə, come in una nuova Storia infinita, è qualcosa di incredibilmente potente. Leggendolo con la classe riesco ad osservare qualcosa che raramente accade nell’attività didattica: i loro occhi si illuminano, si accendono di una comprensione nuova, la scoperta di domande che non solo sono lecite ma addirittura dovrebbero essere naturali e che invece non ci si era mai posti, chissà perché. Lo ha scritto bene Marta: «è uno di quei libri che mi fanno porre certe domande che non mi ero mai fatta, che mi sta facendo anche capire come il mondo scolastico non sia perfetto, che esistono diversi metodi (…). Mi sta piacendo perché è il primo libro che abbia mai letto che mette in discussione l’ambiente in cui ho passato più tempo in tutta la mia vita, su cui però non avevo mai riflettuto abbastanza, per cui sto capendo molte cose, secondo me vere, per la prima volta».
Nell’introduzione, l’autrice, rivolgendosi alle sue tre piccole interlocutrici quindicenni, scrive:
La scuola occupa gran parte del tempo della vostra vita fra i tre e i diciannove anni, eppure in quanti, di fronte alla proposta di leggere un libro di storia della scuola, direbbero: «Sì, dai, che bello, mi interessa perché mi riguarda, perché parla di me». Pochi, credo, davvero pochi. Ma io sono convinta che, invece, è un tentativo che va fatto, perché dentro la storia della scuola c’è la storia di tutti, anche di quelli che non l’hanno frequentata, anzi soprattutto la loro, e proverò a raccontarvi anche questo. Parlare di scuola significa parlare di democrazia, desideri, crescita, ma anche di arbitrio, ovvero di decisioni prese senza che nessuno possa metterle in discussione (un voto ingiusto? una bocciatura, un regolamento scolastico che vieta i capelli blu?) Parlare di scuola può significare parlare di umiliazione, di ingiustizia, di senso di inadeguatezza. Di valere 6-, sempre, anche quando si pensa di valere di più. Parlare di scuola, però, può essere anche parlare di amicizie che non finiscono mai, di cose imparate che scaveranno un tunnel nei nostri cuori per diventare parte di noi, del nostro futuro. Può voler dire parlare di professori e maestri meravigliosi, di professori e maestri che in confronto Voldemort sarebbe un compagno ideale. Parlare di scuola significa, alla fine, parlare della vita.
Credo che le parole di Marta e Flavia, oltre a restituire il valore più grande di questo testo, colgano in pieno lo spirito con cui Roghi lo ha pensato e scritto e, soprattutto, ci dicono che quei pochi non sono forse così tanto pochi.
Sono abbastanza sicura che, nei mesi che verranno, i capitoli di Voi siete il fuoco sapranno darci nuove occasioni di confronto e ci mostreranno che, per osservare qualcosa, si può partire da tanti punti di vista diversi, come le storie di Oliver Twist, di Alice, di Pinocchio, di Enrico e di Franti, ma anche del più recente Harry Potter, i libri che hanno parlato di educazione o che ne hanno raccontato qualche aspetto importante da mettere a fuoco. Incontrando figure come Rousseau, Dewey, Montessori, Don Milani, spero che si possa allargare lo sguardo fino a realizzare che il fare scuola non è unico e soprattutto non è dato, ma che può essere inventato, costruito, condiviso a partire da un’ideale condiviso. Spero però, soprattutto, che i capitoli che verranno ci daranno modo di portare in classe il grande tema delle disuguaglianze, capendo cosa vuol dire scuola pubblica e accesso all’istruzione.
Dopotutto, come non manca di ricordare anche Roghi, sono questioni profondamente costituzionali.