“Siamo le madri e le figlie dell’Iran bruciamo il velo contro il regime e i nostri uomini ci incoraggiano”
23 Settembre 2022Charlotte Brontë Shirley – Villette
23 Settembre 2022Amanpour, l’intervista a capo scoperto che mette a nudo il presidente Raisi Il precedente
di Francesca Paci
La Repubblica Islamica dell’Iran inciampa ancora una volta nell’hijab, il velo che vorrebbe imbrigliare le donne ma che alla lunga, metro dopo metro, finirà per soffocare il regime. Succede a New York, dove all’indomani del discorso con cui accusava l’Occidente di sponsorizzare le iraniane ribelli e dimenticare i nativi del Canada, il presidente Ebrahim Raisi ha annullato l’intervista faccia a faccia con l’anchorwoman della Cnn Christiane Amanpour perché lei rifiutava di coprirsi il capo. Succede mentre a Teheran, come nelle altre città grandi o piccole del Paese, si protesta e si muore: da quando la studentessa di origini curde Mahsa Amini è stata ammazzata nelle mani della polizia religiosa per una ciocca di capelli fuori posto e le donne sono scese in piazza bruciando l’hijab hanno perso la vita almeno 31 persone (17, secondo la stampa governativa).
Ancora una volta l’hijab. Quello che qualsiasi viaggiatrice deve indossare non appena il comandante annuncia l’inizio dell’atterraggio all’aeroporto internazionale Imam Khomeini. Quello che indossava Oriana Fallaci il 26 settembre 1979 al cospetto del trionfante Ayatollah appena rientrato dall’esilio francese prima di toglierselo, concludendo l’intervista, ormai diventata un corpo a corpo ideologico, senza «lo stupido cencio da Medioevo». Quello che avrebbe indossato Christiane Amanpour se anziché incontrare Raisi a New York fosse stata ricevuta a Teheran, dove, ha spiegato nel postare la sua foto seduta di fronte alla sedia dell’interlocutore vuota, il rispetto delle regole è parte del gioco. E, per lavoro o per affari o per turismo, si gioca.
A non giocare più però sono le donne iraniane, le più giovani soprattutto, stanche della finzione che da almeno vent’anni le vede scalpitare dentro una vita schizofrenica, coperte in strada e libere tra le pareti domestiche, dove a forza di leggere Lolita e distillare rabbia hanno maturato la consapevolezza a cui il regime non riesce più a mettere un argine. Stagione dopo stagione l’hijab è diventato una bandiera. Più timida forse durante l’Onda Verde del 2009, quando la contestazione contro l’irregolare rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad prevaleva, pur comprendendole, sulle istanze femministe. Poi si è aperta, srotolata nel 2014 dall’attivista Mashi Alinejad con una raffica di foto a chiome sciolte su Facebook, My stealthy freedom. Ci sono stati i White wednesday, i mercoledì senza velo, costati il carcere a moltissime, tra cui Vida Movahedi, la ragazza di via della Rivoluzione. C’è stata l’avvocato Nasrin Sotoudeh, condannata nel 2019 a 33 anni di prigione e 148 frustate per «incitamento alla prostituzione»: anche lei, imitata da tante attiviste, si era tolta l’hijab, la bandiera.
È passato quasi mezzo secolo dal gesto di Oriana Fallaci, amata o odiata ma maestra, al punto che ancora nel 2005, quando pure era ormai in crociata contro l’Islam, i suoi libri venivano citati con ammirazione dalle iraniane di qualsiasi orientamento politico o religioso, velate o senza velo, tutte con lei, l’unica donna che prima di aver insolentito Khomeini aveva tenuto testa anche allo scià Reza Pahlavi. È passato quasi mezzo secolo e la Repubblica Islamica dell’Iran inciampa ancora nell’hijab.
Stavolta ha vinto Christiane Amanpour, sostenendo il diritto al capo scoperto in casa propria senza mettere in discussione il dovere di rispettare le regole del gioco in casa altrui. Con garbo, ha sfidato l’arroganza e ha vinto. Strizzando l’occhiolino da New York alle migliaia di donne che nelle stesse ore sono in piazza a Teheran. Avrà un bel rivendicare adesso il presidente Raisi quella sedia lasciata orgogliosamente vuota: con buona pace del suo dispetto, su quella sedia sventola l’hijab, la bandiera delle donne iraniane. Neppure i più distratti possono dire oggi di non averle viste lì, lontane e vicinissime, a raccontarsi davanti ad Amanpour. Poi dimenticheremo di nuovo, succede sempre: loro intanto camminano.