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18 Febbraio 2023Deep Purple – Hush
18 Febbraio 2023Scenari Aldo Schiavone, in un saggio edito da Einaudi, invita i progressisti a prendere atto che il capitalismo ha vinto
È finità l’età del lavoro come valore unificante, resta l’esigenza dell’eguaglianza
di Antonio Polito
Aldo Schiavone mette la sinistra di fronte alla verità che non vuole accettare: il capitalismo ha vinto. La terza rivoluzione industriale, guidata dalla tecnologia, ha reso obsoleto il mondo prodotto dalla seconda rivoluzione industriale, quella delle grandi fabbriche e dell’acciaio, dell’elettricità e delle ferrovie. La tecnica ha messo il capitale in condizione «di non aver più bisogno, come prima, per sostenere l’economia di mercato e quindi per realizzare profitti, di grandi quantità di lavoro manuale. Ha fatto scomparire cioè la classe operaia». L’età del lavoro è di conseguenza finita. Non il lavoro come attività umana, questo è ovvio. Ma è finita, scrive Schiavone nel libro Sinistra! (Einaudi), «una maniera storica di lavorare, che era stata costitutiva della modernità e del suo modo di pensare, e che aveva finito con l’includere nel riflesso della sua presenza anche chi non la praticava direttamente».
La fine del lavoro come valore unificante ha messo di conseguenza fine al socialismo, che era lo strumento e l’obiettivo della lotta di classe. L’idea si era irradiata fino alla Costituzione italiana. L’articolo 1, «la Repubblica è fondata sul lavoro», portava a compimento l’identificazione del cittadino con il lavoratore, e stabiliva su questa base il principio di uguaglianza.
La sinistra non ha mai veramente riconosciuto la novità prodotta dai due eventi che hanno cambiato la storia, la rivoluzione tecnologica e la fine del comunismo (e che gli operai rimasti hanno invece ben capito, se è vero che alle ultime elezioni hanno votato in maggioranza per Fratelli d’Italia). Ha negato la realtà per paura di diventare inutile. Si è così rifugiata in «una serie di piccoli sotterfugi, di affermazioni senza fondamento, di negazioni e di travisamenti: qualunque espediente, pur di rimanere a galla. La lotta di classe non era finita (si cominciò a dire); bisognava solo cambiare la classe cui appoggiarsi: non più gli operai, ma gli emarginati, i senza lavoro, gli sfruttati dei nuovi lavori a bassa o inesistente densità tecnologica, gli immigrati di ultima generazione». Senza capire che questi nuovi soggetti, a causa della stessa «volatilità delle loro condizioni materiali, erano tutto tranne che una classe nel senso proprio del termine — l’unico che avrebbe potuto avere peraltro una valenza politica». Oppure che bisognava «sostituire il genere alla classe, come sosteneva una parte dei movimenti femministi; oppure ancora mettere i cosiddetti diritti di libertà al posto dei diritti sociali di una volta; o genericamente “i poveri” (Marx sarebbe inorridito) al posto degli operai, e così via», in una rincorsa sempre più affannosa, utilizzata per coprire il suo «vuoto di idee» e giustificare una pratica politica sempre più esclusivamente concentrata sul governo e sulla gestione del potere.
E invece delle idee la sinistra non può fare a meno. Perché mentre la destra trova nella tradizione, e dunque nel passato, i valori cui aggrapparsi (anche se Schiavone esclude che tale tentativo possa aver successo nel lungo periodo), la sinistra o partecipa al cambiamento o non è. Ma da questo punto di vista, per l’autore, la partita della sinistra è tutt’altro che chiusa, tutt’altro che finita.
Schiavone ci ricorda infatti che c’è vita oltre il socialismo: «L’idea fondante della sinistra, che ne racchiude tutto il cammino ed esprime un principio che sta nell’anima dell’Occidente sin dall’antichità greca, è l’emancipazione dell’umano, di tutto l’umano; non il socialismo: che è stato solo un mezzo per raggiungere quell’obiettivo, ma non il fine, anche se spesso le due cose sono state confuse». E oggi quella meta è paradossalmente diventata più realistica, come mai prima, grazie proprio agli strumenti che ci mette a disposizione la rivoluzione tecnologica. È dunque diventato possibile, e anzi urgente, «staccare definitivamente l’idea di sinistra da qualunque idea di socialismo, con la quale ogni politica progressista si era più o meno identificata sin dalla nascita».
Dibattito
L’autore propone una
sua formula di «terza via»
che però non appare
del tutto convincente
Come? Innanzitutto non confondendo «la fine della lotta di classe con la fine di un atteggiamento critico di fronte alla realtà contemporanea»; non accettando cioè «l’ineluttabilità della disciplina tecnocapitalistica del mondo come oggi si configura». Oggi — riconosce Schiavone — non ci sono alternative al capitalismo. Ma questo non vuol dire assumere «un atteggiamento apologetico o subalterno». C’è nella «finitezza umana» un desiderio di infinito, un «inappagamento che ha un aspetto intrinsecamente politico»: il desiderio di oltrepassarsi, migliorandosi.
Per l’autore solo la sinistra può interpretarlo, grazie a un «universalismo democratico» che la destra non può permettersi, perché per sua natura «basata sul primato» e mai «del tutto inclusiva». Alleata a sorpresa della sinistra, in questa nuova lotta con il capitale, potrebbe essere la stessa «tecnica», il cui «aumento di potenza» è in grado di «accrescere la nostra libertà e la nostra capacità di autodeterminarci».
Qui il discorso, lucidissimo nell’analisi della crisi, si fa più astratto e talvolta fumoso sulle possibili terapie. Schiavone propone un nuovo Patto a un nuovo partito della sinistra. Basato «su due soli punti, solitari e decisivi. Primo. Impegno contro le grandi strutture di disuguaglianza attive nella società italiana. Secondo: impegno per fare del nostro Paese il leader di una nuova fase dell’unificazione europea». Cose non del tutto nuove, vie già spesso indicate. Obiettivo dovrebbe essere superare la «contraddizione tra individualità e uguaglianza, spostando questa seconda dal piano dell’economia, dove l’aveva messa lo sviluppo capitalistico di una volta, a quello dell’etica e delle coscienze».
Pur superando il socialismo, finito insieme con il Novecento, Schiavone sembra insomma non voler rinunciare all’obiettivo di superare, prima o poi, anche il capitalismo. Intendiamoci, una nuova «terza via» è sempre meglio della vecchia «via al socialismo». Ma forse sarebbe più semplice accettare i formidabili vantaggi che il sistema di produzione capitalistico offre in termini di produzione della ricchezza, e provare a riformarlo «eticamente», nel senso dell’uguaglianza. Con la forza della democrazia liberale e della politica democratica.