La guerra di Gaza non è finita, ma si comincia già a pensare al dopoguerra. L’incontro non preannunciato di ieri del segretario di Stato americano Antony Blinken con Abu Mazen riafferma che gli Stati Uniti sostengono la creazione di uno stato palestinese e segnala che puntano su una “rivitalizzata” Autorità Nazionale Palestinese (Anp, il governo dei Territori Autonomi palestinesi in Cisgiordania) per governare Gaza, quando Israele avrà sradicato Hamas. Il presidente palestinese accetta la proposta, rispondendo di essere pronto ad assumere il controllo di Gaza come parte di una «soluzione diplomatica». È la riprova che la Casa Bianca considera necessario usare la politica oltre alla forza per mettere fine a questo conflitto. E che col tempo da una delle più terribili guerre del Medio Oriente potrebbe nascere la pace, come avvenuto anche in passato, quando dalla guerra dello Yom Kippur del 1973 sbocciò la pace del 1979 fra Israele ed Egitto, primo Paese arabo a riconoscere il diritto ad esistere dello Stato ebraico.
La visita di Blinken a Ramallah, non annunciata in precedenza, sia per ragioni di sicurezza, sia per evitare che all’ultimo momento qualche incidente potesse deliberatamente comprometterla, è stata importante per tre ragioni. La prima è che è avvenuta all’indomani del summit ad Amman del capo della diplomazia Usa con i ministri degli Esteri di Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Giordania: un vertice in cui pubblicamente i plenipotenziari arabi hanno messo l’accento sulle perdite di civili palestinesi e sull’esigenza di un cessate il fuoco a Gaza, ma nel quale è verosimile che in privato si sia discusso anche di cosa fare dopo che la guerra sarà conclusa, anche perché a quel punto proprio quei Paesi potrebbero avere un ruolo chiave da giocare. La seconda ragione è che, parlando con il presidente palestinese, Blinken ha detto che «un’Anp efficiente e rivitalizzata» sarebbe lo strumento più sensato per governare Gaza, pur ammettendo che altri Paesi e istituzioni internazionali avranno probabilmente un compito provvisorio (per l’interim, oltre ai cinque succitati Paesi arabi, vengono considerati la Lega Araba e l’Onu). E la terza ragione è che, ripetendo a Ramallah la determinazione del presidente Biden a realizzare «le legittime aspirazioni alla creazione di uno stato palestinese» (obiettivo contenuto anche nell’iniziativa americana, osteggiata da Hamas, per il reciproco riconoscimento fra Israele e Arabia Saudita), Blinken fa capire che l’interlocutore di Washington per risolvere il conflitto israeliano- palestinese è Abu Mazen, che del resto rimane l’interlocutore ufficiale della comunità internazionale nei rapporti con i palestinesi. O meglio, Abu Mazen è uno dei due interlocutori necessari a risolverlo: l’altro sarà ovviamente il leader di Israele, forse un nuovo leader, se come predicono sondaggi e opinionisti, una volta terminata la guerra, Benjamin Netanyahu dovrà cedere la poltrona di premier a uno dei capi dell’opposizione, l’ex-generale Benny Gantz, entrato in un governo di unità nazionale dopo l’attacco di Hamas con una posizione chiave nel “gabinetto di guerra” israeliano.
L’incontro con Blinken fa capire un’altra cosa: dicendosi pronto a governare Gaza dopo la guerra, anche il presidente dell’Anp dimostra di aspettarsi che Israele raggiunga il suo scopo e smantelli completamente Hamas da quella minuscola striscia di terra. La stessa striscia di terra da cui nel 2007 le forze dell’Anp furono espulse da Hamas, in una lotta fratricida che causò 800 morti fra i palestinesi. Vent’anni or sono, alla morte di Yasser Arafat, Abu Mazen sembrava l’uomo giusto per arrivare alla pace: più pragmatico, determinato e affidabile del suo predecessore. Oggi è molto anziano (sta per compiere 88 anni), screditato da accuse di corruzione e di complicità con Israele, in crollo di consensi fra il suo stesso popolo. Ma per Washington è la prima pietra da cui ripartire, quando sarà finita la guerra, in un Medio Oriente ridiventato terreno di scontro nel conflitto globale fra democrazie e tirannie, così come fu durante la Guerra Fredda.