A poco o nulla sono valse le raccomandazioni di Meloni, le precisazioni di Nordio, i toni distensivi fatti filtrare, sia pure col contagocce, da alcuni parlamentari della maggioranza. Per la destra la giustizia resta il principale campo di battaglia e così, proprio mentre il presidente Mattarella firmava il ddl approvato in consiglio dei ministri lo scorso 15 giugno, in Commissione per le politiche Ue della Camera il centrodestra (con l’aiuto dei terzopolisti) ha respinto la direttiva del parlamento europeo sulla lotta alla corruzione.
Secondo il relatore Antonio Giordano (FdI) il provvedimento sarebbe stato «palesemente in contrasto con il principio di sussidiarietà e con quello di proporzionalità», aggiungendo poi che l’Ue non ha alcuna competenza in materia di armonizzazione delle legislazioni nazionali.
Un colpo rumoroso, anche perché, giusto la settimana scorsa, quando la premier era salita al Colle, tra i consigli arrivati da Mattarella, il più importante riguardava proprio l’apertura agli emendamenti sull’abuso d’ufficio: un dettaglio non da poco soprattutto perché la partita del Pnrr è ancora apertissima e l’Europa guarda con molta attenzione alle leggi sulla corruzione. Eppure dalla maggioranza è arrivato un vero e proprio schiaffo, un no deciso che di certo avrà compiaciuto il ministro Nordio ma che, assai probabilmente, non aiuta una Giorgia Meloni che non vorrebbe combattere alcuna guerra sulla giustizia e che, infatti, aveva caldamente invitato tutti ad abbassare i toni.
Durissime le reazioni delle opposizioni. «Nel giorno della commemorazione di Paolo Borsellino, vittima della strage di via D’Amelio insieme agli agenti della scorta, la destra vota un parere motivato in cui contesta la necessità, l’opportunità, il valore aggiunto e le scelte di merito elaborate dalla commissione, lanciando un segnale devastante di lassismo e indebolimento degli strumenti di contrasto alla criminalità in Italia e in Europa», dice il capogruppo del Pd in commissione Politiche Ue, Piero De Luca. Il M5S va anche oltre: «La direttiva europea ribadisce che l’abuso d’ufficio è un reato fondamentale nella lotta alla corruzione e non può essere abolito come vorrebbe fare Nordio».
Dal cosiddetto terzo polo, invece, non solo arrivano sostegno e aperture (per il deputato Enrico Costa la direttiva europea è «follia pura» perché prevede «sanzioni penali non solo per l’abuso d’ufficio nel settore pubblico, ma anche nel privato») ma anche dichiarazioni da ultras a sostegno di Nordio, «gentiluomo garantista» (sempre parole di Costa) la cui riforma sarà sostenuta senza se e senza ma. Entusiasmo e tanti sinceri in bocca al lupo arrivano anche dall’ormai extraparlamentare Andrea Marcucci, fresco di fuoriuscita dal Pd e presidente dei Libdem europei: «Liberali e riformisti fanno il tifo per Nordio».
La questione dell’abuso d’ufficio, comunque, è solo l’antipasto dell’annunciata riforma della giustizia del governo Meloni: il piatto forte resta evidentemente un altro, ovvero la separazione delle carriere di giudici e pm, argomento esplosivo che porterebbe alla guerra senza quartiere tra politica e magistratura. La settimana scorsa Nordio aveva annunciato un apposito vertice di maggioranza prima delle vacanze estive, ma l’accelerazione sulla prima tranche della riforma lascia supporre che del tema grosso se ne tornerà a parlare sul serio solo in autunno.
L’affare, comunque, resta delicato: la separazione è nel programma di governo della destra e riguarda una questione di politica interna, dunque non ci saranno appigli europei a cui aggrapparsi per le opposizioni. Come se servissero a qualcosa: con il voto di ieri la maggioranza ha chiarito di essere impermeabile alle pressioni di questo genere.