David Gilmour – Comfortably Numb
6 Febbraio 2024“ La democrazia del corpo” da sabato al 10 maggio I dodici appuntamenti
6 Febbraio 2024È morto domenica a 84 anni. Fondò il Polo museale, le sue battaglie contro la mercificazione della città
Chiara Dino
Quando promosse per primo, nel 2002, il restauro del David , su cui le polemiche arrivarono anche da oltreoceano, definì l’eroe di Michelangelo «l’uomo più bello del mondo» conquistando i titoli di giornali italiani e stranieri. Allora, come sempre, la sua capacità di piegare la lingua, per colpire l’interlocutore e farlo complice con chiarezza della sua idea dell’arte, colpì nel segno.
Quando istituì il Polo museale fiorentino, una volta arrivato alla guida dell’allora soprintendenza ai beni artistici e storici di Firenze, Prato e Pistoia, nel 1988, pensò che, riunendo i nostri musei sotto un’unica guida con nuove regole, sarebbe riuscito a valorizzare anche i piccoli siti culturali grazie a un’equilibrata ripartizione delle risorse economiche: i grandi avrebbero aiutato i meno famosi. Antonio Paolucci — uomo anche politico con intelligenza a tratti machiavellica ed efficace gestore della cosa pubblica — ma soprattutto storico dell’arte e amministratore della cosa pubblica, era un grande divulgatore. Un affabulatore, come definiva il suo maestro, Roberto Longhi, con cui si era laureato nel 1964. Traduceva in maniera semplice ed efficace i suoi studi, parlava per immagini non banalizzando mai i contenuti, alti, del suo pensiero.
Qualcuno lo chiamava il Piero Angelo dell’arte e a lui Rai 5 aveva dedicato un ciclo di trasmissioni in giro per i musei d’Italia che presto torneranno in video. È morto l’altro ieri pomeriggio a 84 anni (i funerali si svolgeranno oggi alle 15.30 in Santissima Annunziata mentre di mattina lo si potrà salutare alla Cappella di San Luca dell’Accademia delle Arti del disegno). Figlio di un antiquario di Rimini tutta la sua vita l’aveva trascorsa tra Firenze — «la città a cui devo tutto» diceva — dove era stato anche consigliere comunale per la Dc durante la sindacatura di Giorgio Morales, alla guida dell’Opificio delle Pietre Dure, e poi di nuovo soprintendente fino alla pensione nel 2006 — e a Roma dove aveva fatto il ministro della Cultura tra il 1995 e il 1996 e il direttore dei musei Vaticani, dal 2007 al 2016, voluto da Benedetto XVI. Una carriera così fulgida denota due cose: grandi conoscenze e grandi capacità di mediazione, sempre alla ricerca, com’era, di trovare un equilibrio tra l’accesibilità dell’arte — propugnava, inascoltato, la gratuità dei musei — e la salvaguardia dei beni culturali. Era capace di slanci in avanti, come quando in commissione per il bando della nuova uscita degli Uffizi, aveva sostenuto la Loggia Isozaki, ma non tollerava la mercificazione di Firenze. Più volte aveva tuonato contro il resort nell’ex caserma in Costa San Giorgio alla cui vendita si era opposto nel 2003, e contro la monocultura fiorentina, inaridita da anni di vassallaggio al dio turismo, auspicando un ritorno alla pluralità di anime della città: quella intellettuale, religiosa e operaia. A un certo punto — si era in pandemia — sembrava aver gettato la spugna sulla questione e aveva dichiarato: «A mio modo di vedere il processo è irreversibile, non si torna più indietro. I cocci sono rotti e dagli errori fatti, come allontanare dal centro le attività industriali, l’Università, gli uffici, come si fa a tornare indietro?». Si era pure arreso alle inferriate in Santo Spirito: «Purché di tutto ciò non se ne parli più». E quando nel 2020 Eike Schmidt usò l’immagine di Chiara Ferragni per piegare al pop il museo lui commentò laconico: «Non so chi sia, ma se fosse venuto Goethe sarei stato più contento».