Pesticidi
La componente del Green Deal forse più contestata (e la più tradita) è quella che riguarda il settore agroalimentare, il pacchetto definito “Farm to Fork”. È qui infatti che si trovano decine di incompiute: dai sistemi alimentari sostenibili alle etichettature di sostenibilità. L’ultima resa in ordine di tempo riguarda l’agricoltura. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nel pieno delle proteste dei trattori, ha annunciato lo stop alla proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi chimici in agricoltura, anche conosciuto come “Sur”, contenuto nel Green Deal. L’ha presentata come una concessione e ha rimandato la scelta al prossimo esecutivo Ue, ma la norma – che mirava a dimezzare l’uso dei pesticidi rispetto alla media del triennio 2015-2017 entro il 2030 ed esortava i Paesi membri a identificare delle alternative ecologiche – era già bella che andata. A novembre gli eurodeputati (destra e Ppe in testa) avevano respinto la relazione che avrebbe rappresentato il mandato per i negoziati con Consiglio e Commissione Ue. Il regolamento era tornato in Consiglio e lì ha trovato il blocco dei Paesi membri. Insomma, era già su un binario morto da tempo.
Maggese
Il comparto agricolo del Green Deal è stato quindi quello più modificato. Se è infatti vero che gli agricoltori hanno protestato per l’obbligo di lasciare a riposo il 4 per cento dei campi per accedere ai fondi europei, è anche vero che la misura – anche questa parte del Green Deal – era già stata sospesa nel 2023 per la guerra in Ucraina e il caro energia e che è stata poi alleggerita al momento dell’entrata in vigore, a gennaio, con una proposta che prevede si possano coltivare piselli, fave o lenticchie o comunque colture a crescita rapida.
Gas serra
Nell’annuncio dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti al 2050, è poi scomparsa la riduzione dei gas serra agricoli del 30 per cento entro il 2040 (rispetto ai livelli del 2015) che era prevista in una bozza circolata qualche settimana fa. Sempre in questo ambito, i Paesi dell’Ue – secondo un documento consultato da Politico e approvato dagli ambasciatori Ue – stanno chiedendo fino a dieci anni in più per raggiungere gli obiettivi del 2030. Nuova data, dunque, al 2040. La Commissione Europea ha già contato 59 casi di infrazione in corso per non aver raggiunto gli attuali obiettivi. Il nuovo testo dovrebbe essere proposto pubblicamente domani.
Automotive
Questa è stata una approvazione a ribasso. Le nuove norme approvate a dicembre per ridurre le emissioni del trasporto stradale di autovetture, furgoni, autobus, camion e rimorchi sono state al centro di un accordo raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio. I negoziatori hanno però deciso di bocciare la proposta iniziale sul regolamento “Euro 7”, redatta solo un anno prima dalla Commissione, di fatto “annacquandola” e concordando di mantenere le attuali condizioni di prova Euro 6 e i limiti sulle emissioni di scarico per auto e furgoni, con l’unica eccezione sul particolato da batterie e pneumatici: su richiesta dell’Eurocamera questo dovrà essere limitato a 10 nm (PN10) al posto dei 23 nm dell’Euro 6 (includendo quindi le particelle più piccole) come indicato dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece). Un passo avanti, ma molto al di sotto dei target iniziali.
Imballaggi
Il regolamento sugli imballaggi, come abbiamo già raccontato, è stato fortemente annacquato da centinaia di emendamenti proposti dal centrodestra in discussione all’Europarlamento, influenzati da una campagna aggressiva delle lobby di plastica e carta (su cui è stata avviata una indagine interna). La plenaria di fine novembre ha alleggerito il testo, ad esempio allargando le maglie per porzioni monouso e usa e getta ed esonerando dagli obiettivi di riuso quegli Stati che hanno buone performance in termini di raccolta differenziata. È stato l’orientamento generale del Consiglio a raddrizzare un po’ la barra e a reintrodurre molte delle omissioni. Ora è in corso la trattativa finale, i Triloghi: l’ultimo è previsto il 4 marzo.
Tassonomia
Ancora prima di tutto questo, però, quando si era pure lontani dalle elezioni, sono stati inseriti nella cosiddetta “tassonomia”, quindi considerati “investimenti sostenibili”, due settori assai controversi: il gas e il nucleare. Il primo viene considerato “verde” e fondamentale per la transizione ecologica, il secondo arrivato sotto forma di mini-reattori nucleari (nelle scorse settimane è stata finanche annunciata una “Alleanza Industriale”) per compensare di fatto il mancato raggiungimento degli obiettivi sulle rinnovabili e sull’idrogeno. Nello stesso solco, la spinta allo sviluppo della tecnologia “Ccs” (cattura e stoccaggio del carbonio): pochi risultati finora, nonostante l’interesse delle grandi Oil&Gas.
Case green
La plenaria del Parlamento europeo che esaminerà l’accordo sulla Energy performance of buildings directive (Epbd) è prevista tra l’11 e il 14 marzo: primo slittamento. Era stata infatti ipotizzata a fine febbraio. Un anno fa, il testo della posizione negoziale promossa dal relatore Ciaran Cuffe (Verdi), fissava un obiettivo molto più ambizioso: il raggiungimento per gli edifici residenziali almeno della classe energetica E entro il 2030, poi la D entro il 2033. Il testo che invece è stato licenziato dalla Commissione Industria il 15 gennaio non ha indicazioni così stringenti. Saranno i Paesi membri a dover fissare una curva di riduzione progressiva dei livelli di consumo del proprio parco immobiliare, con l’obiettivo di arrivare nel 2050 a emissioni zero. Non si ragionerà più per classi energetiche minime, ma per livelli medi di consumo. Inoltre, saranno i Paesi a dover decidere gli stanziamenti destinati a questa finalità, mentre non sono previsti soldi associati alla nuova direttiva.
Corporate Sustainability
È stata infine rimandata a tempo indeterminato la direttiva dell’Unione europea sul dovere di diligenza in materia di sostenibilità aziendale. L’Europarlamento ha ritirato la proposta dall’ordine del giorno della Commissione Affari Legali ed è stata ritirata dall’esame del Consiglio Europeo. La nuova direttiva stabiliva uno standard di due diligence aziendale sulle questioni di sostenibilità per le imprese che operano nell’Ue (e tutta la loro catena di fornitura, inclusa quella extra-europea) per quanto riguarda i temi ambientali, il cambiamento climatico e i diritti umani: non vedrà la luce prima delle elezioni europee di giugno e, nel nuovo ciclo dell’Eurocamera, sarà notevolmente annacquata. Una dinamica che ormai suona familiare.
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