È stato il partito della premier a spingere con più forza sul Tesoro, ancorché non da solo. D’altra parte quella sulle aree terremotate era una misura indifendibile. Non tanto e non solo per lo “sfacciato cinismo elettorale” che aveva rinfacciato al governo il presidente dei costruttori abruzzesi, Gianni Frattale (sui muri ci sono ancora i cartelloni con le promesse per le ultime regionali), quanto perché l’intera filiera di controllo politico della ricostruzione nel Centro Italia è di centrodestra: il commissario governativo alla ricostruzione, per dire, è il senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli, già sindaco di Ascoli, che da martedì ha preso d’assalto Palazzo Chigi per cambiare il testo; di FdI sono i governatori di Abruzzo e Marche, Marco Marsilio e Francesco Acquaroli, in quota FdI pure Francesco Rocca del Lazio e l’Umbria la guida la leghista Donatella Tisei. Si potrebbe continuare coi sindaci, ma la faccenda dovrebbe essere chiara. La modifica è stata raggiunta “in raccordo con la presidenza del Consiglio”, ci ha tenuto a precisare Albano, cioè nel palazzo in cui vive la sorella d’Italia in capo.
E il povero Giorgetti? Ha provato a resistere lungo 48 ore di passione e nonostante le argomentate posizioni dei “nemici interni”: non solo la figuraccia, che ora si carica lui solo, ma anche quelle nel merito. Spiegava ad esempio il commissario Castelli che “o si mantengono la cessione del credito e lo sconto in fattura o si dovrà aumentare il contributo parametrico” (cioè i soldi versati direttamente dallo Stato a chi ha avuto la casa danneggiata) senza particolari risparmi per le casse pubbliche sul lungo periodo. E qui sta la ragione dell’impuntatura del ministro dell’Economia: nel lungo periodo, com’è noto, saremo tutti morti, mentre il 110% “cedibile” impatta sul deficit dell’anno in corso…
Prima di procedere, rimettiamo in fila qualche fatto: i terremoti di L’Aquila del 2009 e nel Centro Italia del 2016 hanno causato più di 600 morti e distrutto 100 mila edifici, quasi 10 mila opere pubbliche e 4 mila chiese ed edifici di culto, con danni materiali per 50 miliardi in 4 Regioni (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, tutte guidate dal centrodestra). È in questo mega-cratere che nell’aprile 2023 l’attuale maggioranza decise di tenere in vita il 110% vecchia maniera fino al 31 dicembre 2025 per la quota della ricostruzione “in accollo” ai proprietari di immobili lesionati. Anzi, per i terremotati di Superbonus ce ne sono addirittura due: quello normale, che copre la differenza col contributo statale per i lavori necessari a finire, e quello “rafforzato”, con tetti di spesa aumentati del 50%, che è alternativo al contributo diretto. Il nuovo decreto voleva cancellare i due 110% perché, nonostante siano passati 15 e quasi 8 anni dai disastri, la ricostruzione è tutt’altro che conclusa. L’ultimo report di Palazzo Chigi di un anno fa (14esimo anniversario del sisma del 2009) attesta la ricostruzione privata “al 73-74%” (con un fabbisogno di 1,6 miliardi) e quella pubblica al 61% tra lavori “finiti” e “in collaudo”. La ricostruzione post-2016 è ovviamente ancora più indietro: il rapporto del commissario al 30 aprile 2023 segnalava i lavori pubblici “conclusi” al 7,2% con un 45% “ancora da avviare”. Nel privato si dice che il ricostruito sia un terzo, ma la situazione è molto diversa a seconda delle zone. Nei 44 Comuni più danneggiati i lavori grandi stanno iniziando solo adesso – ad Amatrice, per dire, il “cantierone” è partito solo il primo marzo – perché pezzi di territorio sono ancora da mettere in sicurezza.
Il problema di Giorgetti è che l’addio al Superbonus nelle aree terremotate era il piatto forte finanziario del suo decreto. Per capirci, al maggio 2023, risultavano presentate oltre 28 mila domande di contributo diretto – quello integrabile col 110% “normale” – per un valore di 10,4 miliardi; c’erano poi 21 mila domande per danni gravi non ancora presentate, ma già censite dal commissario, che valevano altri 10 miliardi. Queste ultime domande fantasma, in particolare, potrebbero aver scelto – o scegliere fino a fine 2025 – la via del Superbonus rafforzato per coprire l’intero costo dei lavori. Una platea di un certo peso che già oggi – insieme ai cantieri nelle case popolari, nelle Rsa, etc. – potrebbe aver fatto saltare l’obiettivo di deficit programmatico per il 2024, il 4,3% del Pil, il che renderebbe necessaria una manovra correttiva subito dopo le Europee (quando l’Italia entrerà in procedura d’infrazione proprio per il deficit) o una “lacrime e sangue” per il 2025. In realtà, il problema di Giorgetti è che la gestione del Superbonus da parte del suo ministero è stata talmente dilettantesca che nessuno si fida delle sue stime, che peraltro in questo caso non sono state nemmeno rese pubbliche per giustificare una scelta così controversa.
Se le aree terremotate del Centro Italia hanno trovato i loro difensori, non così è andata al terzo settore, ai disabili, agli istituti di case popolari, alle residenze per anziani: per loro – fatti salvi i lavori già avviati o i contratti vincolanti – niente più sconto in fattura e cessione del credito. Il ministro, insieme all’ennesima figuraccia, può tenersi pure qualche scalpo.