di Lucia Annunziata
Voglio dire innanzitutto, prima di ogni altra parola, che Hamas ci sta regalando una delle peggiori pagine di sempre del conflitto Israele-Palestina, pur denso di stragi. Che sia il popolo palestinese a vendicarsi con gli strumenti del terrore, della violenza, della violazione delle donne, dei bambini, dei vecchi, rompendo lo spazio di ogni diritto umano, quello stesso diritto che ha sempre invocato per la propria difesa, è un atto indegno, repellente sul piano umano, che sporca la dignità delle stesse sofferenze dei palestinesi. Immagino che ci saranno discussioni in merito. Ma ora la parte più rilevante del nostro impegno – se ancora c’è spazio per qualcosa da fare – è guardare bene in quello che sta succedendo. Proviamo intanto a offrirvene subito una sintesi, cruda come gli avvenimenti.
Stiamo rapidamente precipitando verso un ignoto luogo in cui il mondo come lo conosciamo è in via di dissoluzione. E la guerra in Ucraina ha agito come accelerazione di questo processo. Proprio perché è in Europa sta facendo ammalare il globo, come una seconda pandemia dei rapporti fra Stati e popoli.
Comincerei dai fatti. «Un attacco come nessuno prima», è in sintesi l’opinione generalizzata dell’assalto allo Stato Ebraico arrivato a sorpresa, con riferimento all’audacia e preparazione dei palestinesi.
In effetti Israele, per propria stessa ammissione, non era preparata: ma possiamo davvero accettare la spiegazione della “sorpresa”? Sorpresa perché? C’è davvero da meravigliarsi se nel pieno di una guerra nel cuore dell’Europa che dura da più di un anno, iI Medioriente diventa un fronte di guerra? Parlare di sorpresa, in queste circostanze, vuol dire sfuggire alla verità.
Intanto va detto che Hamas ha agito perché poteva farlo. Nell’attacco ci sono una dimensione intellettuale – fisica – e un impiego di mezzi che possono derivare solo da una lunga e minuziosa preparazione. L’impiego di strumenti creativi ed economici – i deltaplani e le monoeliche – combinati con i mezzi pesanti per bombardamenti intensivi, le squadre di assalto ai carriarmati, le cellule di spie dormienti, e l’uso degli ostaggi come esempio di punizione e come scudi umani per rallentare e controllare il peso della ritorsione di Israele – tutto ciò sa di denaro e tanto, di addestramento, e tanto. Hamas, insomma, ha agito con le spalle coperte. Hamas può fare quello che sta facendo perché agisce con la copertura di varie potenze mediorientali (soltanto?), la prima firma delle quali è l’Iran. Ed è proprio il paese degli Ayatollah la prima tessera che ci porta alla guerra in Ucraina.
Al centro di tentativi di essere addomesticato o contenuto, il regime di Teheran nato nel 1979 come Repubblica Islamica d’Iran è fin dalla prima ora uno dei grandi protagonisti, in quanto uno dei tre maggiori Stati produttori petroliferi, del domino mediorientale; nonché un regime religioso shiita fonte di ispirazione e attrazione dell’islamismo militante nel mondo.
Asse di questa nuova egemonia culturale sono fin dall’inizio l’aperta ostilità verso Washington, che viene sfidata con la crisi degli ostaggi (novembre 1979) e un intenso sentimento antiisraeliano, ma anche contro gli altri stati arabi del Golfo di religione Sunnita. Eppure la molla decisiva dello sviluppo dei conflitti in Medioriente non è nei rapporti con l’Occidente, ma nel collasso dell’Impero Sovietico.
Le date sono da notare. C’è un lungo conflitto Iraq/Iran, la Qadisiyya di Saddam fra il 1980 e il1988, combattuta per il controllo della supremazia petrolifera – condita con motivazioni religiose, le differenze far Sciiti e Sunniti- che poi proseguì quasi direttamente nella prima guerra del Golfo. Nel 1989 cade l’impero di Mosca, lasciando un grande vuoto di potere dentro il quale si infilerà prima Saddam Hussein, che invade il Kuwait il 2 agosto del 1990, e poi la coalizione occidentale per bloccare Saddam e stabilizzare il pericoloso domino a proprio favore.
Dopo il cessate il fuoco del 1988 e per tutti gli anni Novanta, Teheran è concentrata soprattutto sull’economia. Ma nel 2001, con l’invasione dell’Afghanistan da parte delle forze Nato, l’Iran fornisce intelligence e collegamento fra Usa e l’Alleanza del Nord (forze contro i Talebani). Nella seconda guerra in Iraq da parte dell’Occidente per il “regime change” di Saddam, nel 2003, gli sciiti iracheni, in stretto rapporto con gli sciiti iraniani, dopo la caduta del dittatore diventano addirittura la nuova classe dirigente del paese, sostituendo i sunniti (atto che alimenterà la nascita del terrorismo sunnita di Al-Qaeda). Nella seconda guerra in Iraq nasce così una nuova egemonia degli sciiti, che sono centrali prima nel combattere l’Isis, e poi nel difendere il regime di Assad in Siria. Dall’Iraq alla Siria al Mediterraneo, Teheran oggi controlla un vasto territorio con i suoi due bracci armati: Hezbollah nel sud del Libano, a guardare Israele, e Hamas dentro Israele. Il rapporto fra Iran e Usa, che stabilizzava una parte delle tensioni con l’Occidente, ha sempre preoccupato i tradizionali alleati di Washington, le monarchie sunnite del Qatar, degli Emirati e soprattutto dell’Arabia Saudita. Più Israele, che ha sempre visto in ogni rafforzamento dell’Iran una crescita esponenziale delle minacce nei propri confronti, e non si è mai fidata del tentativo americano di coinvolgere l’Iran nel programma di denuclearizzazione.
La composizione di questo primo tavolo di contraddizioni è stato affrontata negli anni più recenti con l’ambizioso progetto di creare un nuovo set di alleanze, con gli accordi di Abramo, firmati nel 2020, da Israele con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e il Sudan, con la mediazione dell’amministrazione Trump.
Gli accordi di Abramo riportano in campo le tensioni con gli sciiti, perché svelano le dissimulate relazioni fra Israele, Usa e gli altri stati arabi sunniti. Questo allarme ha creato il più recente scarto di Teheran, che si schiera con la Russia contro l’Ucraina, fornendo a Putin armi (soprattutto droni, per contrastare quelli Ucraini) e aspettandosene dalla Russia (quando questa potrà). Il cerchio, come si vede si chiude sull’oggi. L’attacco di Hamas è in questa luce molto più chiaro, e certo non inatteso.
Il vuoto creato dalla caduta dell’impero sovietico ha nutrito in questi anni tanti altri pericolosi esperimenti politici, conflitti che sono anch’essi pezzi della tela che si strappa. Parliamo di quello in Nagorno-Karabakh e di quello fra Kosovo e Serbia nei Balcani. Entrambi con impatto indiretto sulla guerra in Ucraina.
Nel 1988, Nagorno-Karabakh, regione dell’Azerbaijan abitata sia da armeni sia da azeri, dichiarò la sua indipendenza da Mosca. Mikhail Gorbachev, inviò 25 mila soldati in Azerbaijan per impedire la secessione e per proteggere la minoranza etnica armena dalle violenze degli azeri. Nel 1991, in era post-sovietica, segue un decennio di guerra civile a seguito della quale il Nagorno-Karabakh si prende la sua indipendenza e Armenia e Azerbaijan continuano la loro guerra. In questi anni recenti l’Azerbaijan rafforzato dal punto di vista economico grazie all’esportazione di idrocarburi ha potenziato l’esercito ed ha sconfitto, a settembre, gli armeni che hanno lasciato a migliaia il loro ex paese, ormai cancellato anche come entità statale. La Russia non ci ha fatto una bella figura, Baku però non teme reazioni dure, neppure dall’Unione Europea o dagli Stati Uniti, che pur protestando non potrebbero in ogni caso rinunciare alle forniture di gas dall’Azerbaijan in questo momento. La presidente Von der Leyen, a luglio, ha ringraziato durante un viaggio a Baku il presidente dell’Azerbaijan Aliyev per il suo sostegno.
L’altro conflitto lo conosciamo molto meglio perchè come alleanza occidentale abbiamo in qualche modo contribuito a crearlo. Parlo della rinascita di tensioni fra tra Pristina e Belgrado. Cioè fra serbi e kosovari. Vecchie conoscenze dalle nostre parti. Nel 1999 siamo intervenuti come Nato contro la Serbia per difendere il Kosovo dal genocidio. Il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008 ma né Belgrado, né i centomila serbi che abitano in Kosovo riconoscono questa indipendenza. La Russia che appoggia i serbi, spera che mantengano un punto di “disturbo” con l’Unione Europea. I generali europei temono il precipitare – di nuovo – degli eventi. Intanto la tensione è arrivata anche sui campi di tennis di Parigi, dove durante il torneo Roland Garros, il campione serbo Novak Djokovic ha scritto su una telecamera: «Il Kosovo è il cuore della Serbia. Stop alla violenza!». Intendeva quella contro i Serbi.