
Vendesi incontri con Butti&Co: ecco il tariffario per comprarli
19 Aprile 2025
Unicredit-Bpm, governo spaccato Forza Italia critica il golden power
19 Aprile 2025Il retroscena
di Marco Imarisio
La strategia dello zar è sfinire i negoziatori. Il leader Usa: non mi sta prendendo in giro
«Meglio dieci mesi di colloqui che un solo giorno di guerra». Negli ultimi giorni, è circolata in rete per le ragioni sbagliate una vecchia foto dell’autore di questa frase. Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dell’Urss dal 1957 al 1985, il leggendario Signor No che respingeva ogni richiesta dell’Occidente, è stato il diplomatico più longevo di sempre. Era il giorno del suo addio, lasciava per diventare presidente del Soviet Supremo, nominato da Mikhail Gorbaciov. Accanto a lui, tre giovani di belle speranze: l’attuale ministro degli Esteri Sergei Lavrov, Grigori Karasin, vero capo delle trattative in corso sull’Ucraina, e poi l’oggetto del revival ministeriale, Andrej Kozyrev, ex ministro degli Esteri di Boris Eltsin, recentemente messo fuorilegge e dichiarato agente straniero.
«Siamo favorevoli, ma ci sono delle sfumature», ha detto Vladimir Putin a proposito della tregua richiesta dagli Usa. La diplomazia russa ha una scuola e una tradizione dilatoria ben consolidata. A cambiare sono solo i dettagli, gli avverbi e gli scopi da raggiungere. Se ne sta accorgendo Donald Trump. Ieri ha escluso che Putin si stia «prendendo gioco» di lui, dicendosi convinto che «l’accordo si farà». Almeno sulla sua prima affermazione, tutte le cancellerie internazionali nutrono forti perplessità.
L’adulazioneSe Gromyko era Mister Niet, Putin si comporta come Mister Sì, assecondando Trump negli aspetti di facciata e dimostrando così di essere ben preparato sui meccanismi mentali del presidente americano. La tattica del Cremlino è quella di blandire il nuovo-vecchio presidente americano. Lo scorso 24 gennaio, Putin si è detto d’accordo con Trump sul fatto che «se nel 2020 non gli avessero rubato la vittoria, forse non ci sarebbe stata l’attuale crisi in Ucraina». Il 22 marzo, il negoziatore di fiducia della Casa Bianca, l’immobiliarista Steve Witkoff, ha detto che dopo l’attentato dello scorso luglio, il presidente russo è andato in una chiesa e ha pregato per il suo amico americano.
La diversificazioneTanti, troppi obiettivi. La Russia ha «annacquato» i negoziati ucraini in una piattaforma così vasta da sembrare irrealistica: la normalizzazione del funzionamento delle rappresentanze diplomatiche, la soluzione di altre crisi regionali, la cooperazione economica. Tutti gli altri temi sono già stati avviati, e questo rappresenta già una prima vittoria russa. La volontà del Cremlino di «scompartimentalizzare» l’agenda russo-americana, di deviare il dialogo dal solo problema Ucraina, si sta rivelando una mossa che funziona. I colloqui di queste settimane, lunghissimi e pesanti come da tradizione russa, e la diplomazia della spola sono la via sulla quale Mosca sta spingendo Washington.
La frammentazioneSiamo passati dalla «pace in un solo giorno» alla tregua parcellizzata. Le richieste perentorie di Putin dello scorso giugno, abbandono delle forze ucraine dall’intero territorio delle quattro regioni entrate a far parte della Russia, denazificazione, demilitarizzazione, rinuncia all’ingresso nella Nato, riduzione della collaborazione con l’industria bellica occidentale, sono ancora attuali. Davanti a questa fermezza, gli inviati della Casa Bianca hanno opposto e proposto una tregua a geometria variabile. Oggi no, domani forse, dopodomani senz’altro. Magari nel Mar Nero, poi la moratoria sulle infrastrutture. E ogni volta la Russia denuncia la violazione di un cessate il fuoco sempre più parziale da parte dell’Ucraina. Marat Bashirov, politologo vicino al Cremlino, sostiene che questo continuo cambiamento di proposta è il prodotto perdente della fermezza russa. «Loro sanno che dalla nostra posizione non ci allontaniamo ormai da anni, dal 2007 e Monaco. Ma Trump vuole liberarsi in fretta del dossier ucraino portando a casa un risultato qualunque. Questi negoziati sono un sottomarino dove al timone ci siamo noi».
La preparazione«Come gatti con il topolino». In molte cancellerie europee si guarda con sconforto alla differente esperienza degli emissari diplomatici di Russia e Usa. Il sociologo di opposizione Igor Eydman sostiene che Putin ingaggia con Trump il gioco del poliziotto buono e di quello cattivo. Quello buono è Kirill Dmitriev, finanziere internazionale con lauree a Stanford e Harvard, il più americano degli uomini del Cremlino. Lui parla della cosa più importante per gli americani, il denaro, e racconta come si può guadagnare ripristinando i rapporti con Mosca e promette le risorse dell’Artico e le terre rare. Basta accordarsi sui dettagli di un affare secondario, l’Ucraina. Poi arrivano i cattivi dalle facce impenetrabili. Grigory Karasin, 47 anni trascorsi al ministero degli Esteri, estensore fisico degli accordi Minsk-1 e Minsk-2, e Sergei Beseda, il funzionario del Kgb in possesso da oltre quindici anni della delega sull’Ucraina. Gente che conosce ogni virgola dei singoli dossier, ed è incaricata di discuterci sopra per ore. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Dice un antico proverbio russo sulla Kasha, la nostra polenta: «Se dopo tre fette non capisci cosa stai mangiando, allora il problema sei tu».