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16 Ottobre 2024di Pierluigi Piccini
Ci sono situazioni che sono veramente insopportabili: tra queste, l’omogeneizzazione culturale o, in altre parole, la centrifugazione delle differenze. Che poi, alla fine, è l’altra faccia delle nuove divisioni nazionali, con il ritorno degli imperi, delle politiche colonialiste e le divisioni per blocchi: un elemento di controllo, attraverso il consenso. Le colonie, del resto, più deboli sono (anche dal punto vista culturale), tanto più rafforzano gli Stati guida: altrimenti come si spiegherebbero la guerra in Ucraina o quelle nel Medio Orientale, il ruolo dell’Europa e quello della Russia, di Israele e dell’Iran? Sembra di essere tornati a Berlino, a quel famoso 13 agosto del 1961, con alcune differenze, però, e non da poco: un’economia interconnessa che supera la stessa divisione per blocchi e il primato assoluto della tecnica. La globalizzazione fa passare sotto silenzio lo stesso commercio delle armi, che vengono vendute indiscriminatamente a tutti (non importa che siano amici o nemici). E tutto questo per cosa? Nel tentativo di ripristinare un ordine internazionale fuori controllo, con la Cina da una parte e gli Stati Uniti dall’altra, i due veri attori che si contendono l’egemonia: gli Stati Uniti, in difficoltà, che non la vogliono perdere e vorrebbero fissare le regole del gioco per garantirsi il controllo delle reti globali; la Cina, che si candida a sostituire i rivali. Ma ci si muove solo su un piano militare o entrano in gioco altre componenti? Le diverse religioni e le politiche culturali accompagnano le guerre su un terreno più sofisticato, e alcune volte di difficile lettura. Noi italiani ne sappiamo qualcosa: basterebbe ricordare le operazioni di penetrazione culturale seguite alla seconda guerra mondiale, ad opera degli Stati Uniti e della stessa Gran Bretagna. Il livello dell’appartenenza religiosa è più semplice da decifrare, basterebbe leggere le tesi, a questo proposito, del filosofo russo Dugin fatte proprie dallo stesso Putin; che poi Christian Today sintetizza in questo modo: “accompagnare la creazione di una comunità nazionale ortodossa russa rivitalizzata e la fine della decadenza spirituale russa. Possiamo capire perché un certo numero di commentatori vedono questo come un millenarismo profondamente nazionalista”. Il mondo religioso islamico va lasciato da parte, parla da solo ed è sotto gli occhi di tutti. Di pari passo con gli aspetti religiosi vanno le questioni culturali e i modelli di vita che i vari contendenti vorrebbero imporre. Politiche culturali che si declinano in forme diverse soprattutto in un Paese come l’Italia, così ricco di arte e di storia. In alcuni casi, proprio da noi e leggendo tra le righe, si percepiscono anche usi politici e strumentali nelle singole iniziative culturali, facilmente decifrabili dagli addetti ai lavori, ma che passano inosservati nella quasi totalità dei cittadini (Frick Collection NY, Met di NY dove Siena diventa il fulcro del Rinascimento). In ogni caso, appare evidente una nuova recrudescenza dell’omogeneizzazione culturale, come se il mondo in cerca di ordine più che guardare avanti, esplorare nuove possibilità, si sia pericolosamente fermato e non abbia altre proposte se non quelle di ripresentare il vecchio. Economia, spiritualità, cultura sono le tre componenti utilizzate al controllo per l’egemonia degli uni sugli altri. Domanda: ma è possibile uno sguardo trasversale (Agamben) che vada oltre la sottomissione dei cervelli e che non si fermi alla sola resistenza individuale? Due, a mio avviso, sono i rischi da evitare: il nazionalismo chiuso su se stesso e l’accettazione passiva di una appartenenza acritica di schieramento.