Dagli anni Settanta il sistema delle opere si è completamente trasformato E oggi ha abbandonato un inutile narcisismo
diAchille Bonito Oliva
Negli anni Settanta, il sistema dell’arte utilizzava un criterio molto selettivo, attraverso il quale passavano solo pochi artisti italiani. Ma alla fine degli anni Settanta, con la transavanguardia, avemmo conferma di una sorta di solidarietà tra i vari anelli. Si ebbe un funzionamento euforico del sistema dell’arte, tanto che, anche gli artisti dell’arte povera trovarono accoglienza nel collezionismo internazionale. Era un sistema dell’arte equilibrato, che coglieva la qualità, il pluralismo culturale. Alla fine degli anni Ottanta, la crisi economica ha preso in contropiede questa euforia e ha ridimensionato gli anelli di questa catena che poggiavano su una intraprendenza personale: il collezionismo, le gallerie e i mass media specializzati. Questi tre anelli entravano in crisi in quanto l’economia diveniva più severa, costringeva molte gallerie a chiudere, costringeva il collezionismo a ridurre l’incetta di opere. Era infatti divenuta una pratica investire su gruppi di opere e scegliere il nome di un artista piuttosto che la sua produzione. Anche le riviste specializzate, sostenute dall’economia pubblicitaria delle gallerie, subirono una battuta d’arresto.
La crisi economica era un aspetto di una crisi globale, che toccava tutto il sistema produttivo occidentale, azzerava il confronto fra i blocchi, eliminava gli alibi ideologici e aveva il suo contrappunto storico nel crollo dell’impero sovietico e nella caduta del muro di Berlino. Ciò investiva anche lo slancio creativo degli artisti. Dovevo constatare l’impossibilità di raggruppare altri artisti. La transavanguardia aveva dato i suoi frutti e si assisteva ora ad una frantumazione dei fronti. Gli artisti potevano procedere contando sulle proprie forze. Non era l’arte ad entrare in crisi. Ciò ha sviluppato un’attenzione, anche sociale, per il museo, entità per definizione super partes, pubblica, capace di dare la cornice storica al lavoro di un artista, di dare oggettività sottraendo quel lavoro ad ogni sospetto di speculazione. I musei hanno cercato di rispondere alla ristrettezza di fondi con lo sviluppo del merchandising, del gadget ( ristoranti, bar, librerie), per incrementare la propria economia e la sosta del pubblico ne in quegli spazi. Si sono create situazioni di intreccio tra pubblico e privato. Molti musei, in America e nell’Europa settentrionale, sono un esempio. In essi l’intervento di privati è favorito da una legge molto civile che permette di defiscalizzare tutto ciò che è stato speso per l’arte. Questi musei hanno sviluppato, per una necessità di autonomia economica, da una parte mostre retrospettive di artisti ( anche viventi), dall’altra, manifestazioni per promuovere la giovane arte. Spesso in cambio della retrospettiva, i musei comprano gruppi di opere a forti sconti. Anche riguardo alle mostre dei giovani artisti, questi musei svolgono spesso attività d’acquisto, fatto che si traduce in un vero investimento. Ciò permette che il museo, prima ospizio platonico del bello, divenga una società per azioni estetica, a responsabilità illimitata. Il direttore, una figura intermedia tra critico, imprenditore e manager, sceglie le retrospettive degli artisti storici e le linee delle ricerche giovani da seguire, secondo il proprio bagaglio culturale. Si arriva così a selezionare, a produrre ed a imporre un panorama di presenze che va però a discapito di quel pluralismo che le gallerie private garantivano.
Oggi il museo tende a rafforzare la crisi delle gallerie private, collezionismo e mass media specializzati. Se dovessi prevedere uno scenario futuro vedo il ritorno alle gallerie, quelle più giovani, magari in una condizione di precarietà tuttavia con uno spirito avanguardistico. La trasformazione del museo non avviene solo per motivi economici ma anche culturali e ideologici, essendo crollata la visione manichea che assicurava il momentospeculativo all’iniziativa privata e la gestione espositiva, ai musei ( senza prevedere un rientro economico). Ora i musei hanno invece l’esigenza di difendere la propria esistenza e dunque di prevedere degli introiti. Questa tipologia di museo, si sviluppa in paesi dove l’economia è florida, dove esiste un nuovo collezionismo, garantito dal museo stesso, in quanto calmiere dei prezzi nei confronti delle impennate speculative delle gallerie private.
Oggi l’artista è portato a tenere sotto il proprio sistema formale una frammentazione linguistica, elementi, codici, provenienti da diversi contesti. L’opera richiede un’elaborazione, non un puro intuito concettuale. Mentre negli anni dalla smaterializzazione concettuale l’artista trovava la propria identità nel suo essere simmetrico a modelli ideologici e politici esistenti all’esterno, oggi l’artisticità la si ritrova all’interno della propria autonomia, all’interno del processo di elaborazione formale. Ciò determina un’opera concreta, materiale, visibile, per la quale è necessario un supporto, una cornice. Quindi c’è un ritorno ad un bisogno di strutture, architetture calibrate, luoghi di accoglienza, di attenzione, che tendano a superare il narcisismo con cui in passato artista e gallerista si ponevano dinanzi allo spettatore.