Frammenti di luce nella Bibbia
13 Gennaio 2023Pacciani: per un Turismo sostenibile
13 Gennaio 2023Medicina Biografia uscita per Passigli
di Carlo Baroni
La scienza ci rassicura. E ci spaventa. Ma c’è sempre un momento in cui bisogna scegliere se fidarsi. E non c’è ragione che tenga. Le spiegazioni non bastano. Le prove hanno sempre una soluzione contraria. In mezzo ci siamo noi. La nostra salute. Talvolta persino la vita. Gli uomini di scienza sono tali perché non hanno certezze, anche quando dai laboratori arriva una risposta. È come una strada infinita, ma mai senza uscita.
La parabola umana e professionale di Albert Sabin assomiglia a quella di un Indiana Jones che per arrivare al sacro Graal deve superare prove che non ti danno una seconda possibilità. La raccontano Paolo Leoncini e Paolo Neri nel libro La guerra dei vaccini (Passigli editore, pagine 170, e 16,50). E già dal titolo si capisce che passato e presente si mescolano. Le vicende di ieri che basta cambiare le date perché diventino subito attuali. E partono dai luoghi più imprevisti. Da tragitti pensati per altre destinazioni. E non sai se sia il fato o qualcos’altro a scatenare l’imprevisto. Abram Saperstein (così si chiamava Albert Sabin) cresce in un posto che è un crogiolo di contrasti. Etnici, politici, religiosi. Gli opposti che non si attraggono. Le diversità che sono fonti di scontri senza soluzione di continuità. Nasce a Byalistok in quella che era ancora terra degli zar e non ancora Polonia. Ma per lui, ebreo, sempre terra straniera persino se la sua stirpe viveva lì da secoli. Sono anni di soprusi. Di sassi tirati da adolescenti come lui. Di ferite che non si sarebbero più cicatrizzate, anche quando il sangue avrebbe smesso di uscire. La diaspora è inevitabile. L’approdo negli Stati Uniti è l’inizio di una nuova vita, non ancora di una vita migliore. Un nuovo mondo, forse più libero, di sicuro con altri pregiudizi. Una strada in salita, un dimostrare sempre qualcosa. Il dover essere migliore in tutto.
Gli inizi di Sabin forse spiegano le sue scelte future. Diventa caparbio e determinato. Mai arrogante. La sua bussola è il dubbio. Si mette in discussione, cade e si rialza. Impara a lottare, a debellare il virus sociale come combatterà per vincere la poliomielite. I suoi lo vogliono avvocato, poi dentista. Si trova anche a fare l’imbonitore e gli servirà quando si tratterà di far valere le sue ragioni e conquistare il consenso. Parlare agli altri, convincerli senza raccontare fandonie, solo ricamare un po’ la verità. Un libro, I cacciatori di microbi, lo appassiona. L’aveva scritto Paul De Kruif, un altro visionario non a caso inviso alla comunità scientifica. Che, spesso, vive arroccata dietro un sapere che è solo saccenza. Il nuovo che avanza rischia di minare posizioni di privilegio.
Comincia in questo modo l’ascesa di Sabin, densa di gloria, ma anche di umiliazioni e incomprensioni. E segnata dalla rivalità con l’altro grande scienziato Jonas Salk. Diventano i Coppi e Bartali della ricerca scientifica. E non mancano i colpi bassi. Ma è anche una sfida per alzare l’asticella. A vincere, alla fine, sarà solo la scienza, un sapere superiore.
E per Sabin arriva anche una spinta decisiva dall’Italia. Da Siena. L’Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano, fondato dal professore Achille Sclavo, si spende tutto per lui. Una generosità ricambiata. I rapporti con il grande scienziato americano vanno avanti per vent’anni. E Sabin diventa così senese da far persino parte della contrada dell’Oca. Il cerchio si chiude. Ritrova l’Europa da cui era partito.