Sono soprattutto i giovani ad aver disertato le urne
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18 Giugno 2022La sinistra di Mélenchon si gioca il secondo turno delle legislative francesi. I macronisti si rimangiano lo sbarramento all’estrema destra per paura di perdere la maggioranza
La Quinta Repubblica francese riconosce ampi poteri al suo presidente. E il presidente in carica Emmanuel Macron è largamente accusato di governare più come un re che come un democratico. Ma oggi, di fronte alla corsa parlamentare più combattuta degli ultimi decenni, la sinistra di Jean-Luc Mélenchon scommette di poter costruire un contropotere all’esecutivo monarchico di Macron. Alle elezioni presidenziali di aprile a Mélenchon non era bastato il 22%, che lo ha lasciato incredibilmente fuori dal ballottaggio. Oggi, tuttavia, il leader di France Insoumise sembra improvvisamente di nuovo alle soglie del potere.
Il 6 aprile avevo assistito all’ultimo discorso di Mélenchon a Lille come candidato alla presidenza, un evento alla fine della sua campagna trasmesso simultaneamente tramite ologramma in una dozzina di altre località. Quando non è riuscito ad arrivare al secondo turno, pochi giorni dopo, ho avuto la realizzazione agrodolce che forse avevo potuto vedere il grande tribuno rivolgersi per l’ultima volta a una folla così vasta. Ma mi sbagliavo. Anche prima che Macron avesse sigillato la sua vittoria al secondo turno delle presidenziali sull’estrema destra Marine Le Pen, Mélenchon si stava preparando per quello che ha definito il «terzo turno»: le elezioni di questo mese per l’Assemblea nazionale.
Alla Maison de La Chimie di Parigi il 21 aprile Mélenchon parlava già dell’effetto dei partiti di sinistra che non lo avevano sostenuto. Il più deludente era stato il Partito comunista francese (Pcf), che lo aveva sostenuto nel 2012 e nel 2017 mentre questa volta ha lavorato separatamente. Il candidato del partito, Fabien Roussel, ha preso ottocentomila voti, il doppio del margine necessario a Mélenchon per superare Le Pen e arrivare al ballottaggio.
Mélenchon ha spiegato che il risutato totale di questi partiti ha raggiunto quello del Pcf nel suo periodo di massimo splendore dal 1945, cioè il punto culminante del potere del movimento operaio nel quale gran parte del modello sociale francese ora minacciato venne costruito. Evitando la tentazione di sprofondare nelle recriminazioni per l’occasione mancata, Mélenchon ha trascorso questa primavera costruendo un’alleanza di partiti di sinistra, inclusi i Verdi, il Pcf e il Partito socialista da cui era uscito nel 2008 mentre precipitava verso destra.
Cosa inedita per la sinistra nel ventunesimo secolo – sfidando le morbose previsioni di eterne lotte intestine – l’alleanza si è riunita sotto la bandiera della Nuova Unione Ecologica e Sociale Popolare (Nupes); l’Académie Française, l’augusto organismo che da quasi quattro secoli pronuncia arcani giudizi sull’uso corretto della sua sacra lingua nazionale, ha stabilito che l’acronimo si pronuncia «noop» [in italiano: nup, Ndt].
Il suo debutto è stato un vero presagio. Nel primo turno di domenica, Nupes ha ottenuto il 26,1% dei voti in tutta la Francia e nei territori d’oltremare, più di qualsiasi altro partito, compreso quello del presidente. «C’è stata un’ottima mobilitazione da parte nostra… Quindi è normale che tutti coloro che non se lo aspettavano siano improvvisamente nervosi», ha detto con orgoglio Mélenchon ai giornalisti davanti al quartier generale della campagna a Parigi.
Ribaltone a sinistra
Non è andato tutto così bene. Si è registrato il tasso di astensione più alto dal 1958, quando fu fondata la Quinta Repubblica, con poco meno della metà degli aventi diritto che sono andati al voto. Ma in alcuni luoghi in cui Nupes ha avuto un’impennata, come Montreuil, un sobborgo a est di Parigi, l’affluenza è effettivamente aumentata. Lì, il deputato locale Alexis Corbière, portavoce di Mélenchon alla corsa presidenziale del 2017, è stato rieletto al primo turno con il 62% dei voti, il più alto del paese. Per vincere senza ballottaggio, un candidato ha bisogno di oltre il 50% dei voti su oltre il 25% di affluenza alle urne. Solo cinque candidati lo hanno fatto a livello nazionale, quattro dei quali sono di France Insoumise sostenuti da Nupes.
Una era Danielle Simonnet, nel 15° collegio elettorale di Parigi, che comprende il ventesimo arrondissement. Ha detto che i luoghi in cui i suoi sostenitori sono andati sistematicamente a fare campagna elettorale porta a porta hanno visto un’astensione molto inferiore rispetto ad altre aree. La vittoria della contendente di France Insoumise è stata un’ulteriore umiliazione per la sindaca del Partito socialista di Parigi, Anne Hidalgo, dopo il suo triste 1,7% nella competizione presidenziale.
Hidalgo ha definito il suo brand di politica social-liberale «la sinistra che ha imparato dai suoi errori»: una sinistra favorevole agli affari, rappresentata in questo collegio elettorale da uno dei suoi più stretti alleati, Lamia El Aaraje, che ha battuto Simonnet nel giugno 2021. Ma con la credibilità del Partito socialista distrutta dalle elezioni presidenziali, questa volta il risultato è stato quasi invertito. Nonostante il sostegno degli ex primi ministri socialisti Lionel Jospin e Bernard Cazeneuve, El Aaraje è crollato al 17,5%, mentre Simonnet è salita a oltre il 47%. Altrove il primo ministro 2014-2016, Manuel Valls, un ex socialista ora in corsa in un collegio elettorale all’estero nella lista di Macron, è stato eliminato al primo turno. L’umiliato Valls ha annunciato subito che avrebbe cancellato il suo account Twitter.
Eppure, nonostante il mutevole equilibrio di potere a sinistra e l’alto risultato complessivo di Nupes, la preoccupazione è che ci siano poche riserve di voti a cui attingere nel secondo turno del 19 giugno. La sinistra dovrà cercare la maggioranza attingendo dagli elettori che si sono astenuti domenica scorsa. Un enorme 69% di giovani tra i diciotto e i ventiquattro anni e il 71% di quelli tra i venticinque e i trentaquattro anni non hanno votato al primo turno, e Mélenchon ha fatto appello a queste categorie, che hanno premiato i candidati di Nupes con enormi margini quando hanno votato, per arrivare all’ufficio di primo ministro.
Fronte repubblicano?
Il tentativo di Macron di evitare questo risultato – e mantenere la sua maggioranza in parlamento – è stato condotto sotto la bandiera di «Ensemble!», un gruppo di partiti neoliberisti e di centrodestra. Come primo ministro ha scelto Élisabeth Borne, una distinta funzionaria con una lunga storia di ruoli tecnocratici nello stato francese che si è adattata in modo più goffo a un ruolo politico.
Se in passato le elezioni parlamentari sono state spesso una mera formalità per i neoeletti presidenti, Mélenchon ha trasformato questa corsa in una vera e propria sfida tra due programmi contrastanti. Al primo turno, i sostenitori di Macron sono arrivati primi in 203 circoscrizioni e quelli di Mélenchon in 194; in circa 272 dei ballottaggi in programma domenica prossima il candidato di Macron affronterà quello di Mélenchon.
Decisivi sono anche i collegi elettorali in cui o Ensemble! o Nupes affrontano un candidato di estrema destra. Prima del ballottaggio presidenziale di due mesi fa, alcuni alleati di Macron si erano lamentati amaramente del fatto che Mélenchon non avesse appoggiato il presidente anche di fronte alla minaccia di Le Pen. Questi attacchi sono arrivati nonostante la chiara indicazione di Mélenchon ai suoi sostenitori in un discorso pronunciato la sera dei risultati al Cirque d’Hiver: ha ripetuto tre volte «non un solo voto» per il leader del Rassemblement National (Rn).
Ora, l’equivoco dal campo di Macron lo ha aperto alla stessa accusa. Nella notte dei risultati, Borne ha chiesto al popolo francese di sostenere il progetto di Macron, ma ha anche condannato entrambi gli «estremi», senza far cenno su chi avrebbe sostenuto nei sessantuno ballottaggi tra Nupes e Rassemblement national (Rn), in cui il candidato di Macron è fuori gioco.
«Rifiutando di dare la minima indicazione di voto in caso di un duello del genere» ha osservato Le Monde, Borneha messo i due campi «su un piano di parità». La linea interna è che, chez Macron, il sostegno ai candidati di Nupes contro Le Pen sarebbe arrivato caso per caso.
Questa mancanza di chiarezza ha suscitato immediatamente l’indignazione di ciò che resta dell’ala liberal del partito di Macron. Una portavoce, Maud Bregeon, ha annunciato che «nessun voto deve andare all’estrema destra», facendo eco alla formula usata ripetutamente da Mélenchon. Solo un giovane ministro, Clément Beaune, si è espresso inequivocabilmente per i candidati Nupes contro il Rn di Le Pen.
Estremi?
Di fronte alle critiche dopo la sua reazione iniziale, Borne ha modificato la sua posizione: appena passata la mezzanotte ha twittato contro qualsiasi voto per l’estrema destra. Ma ha anche fatto delle specifiche, dicendo che il partito del presidente avrebbe sostenuto solo i candidati «repubblicani» e non coloro che «hanno insultato la polizia o chiesto di non sostenere più l’Ucraina». Questa definizione potrebbe facilmente escludere qualsiasi candidato sostenuto da Mélenchon, che ha criticato con forza la brutalità della polizia ed è stato condannato come «non repubblicano» sulla base di affermazioni bigotte circa la presunta indulgenza nei confronti dell’«islamo-sinistra» (Uno di quelli che diceva cose del genere, l’ex ministro dell’istruzione di Macron, Jean-Michel Blanquer, è stato battuto senza tante cerimonie da un candidato Nupes al primo turno di domenica).
Particolarmente eloquente è la zona di Le Pen nell’11° distretto di Pas-de-Calais, nel nord della Francia. Nonostante il risultato elevato, deve affrontare un secondo turno di scrutinio a causa della scarsa affluenza alle urne nel collegio elettorale. La candidata eliminata di Macron, Alexandrine Pintus, tuttavia, ha rifiutato di chiedere un voto per Marine Tondelier, la Verde sostenuta da Nupes che è arrivata seconda.
«La scelta è tra gli estremi e un voto in bianco – ha detto Pintus – Quindi, il mio voto sarà nullo». Il presidente del partito di Macron, Stanislas Guerini, intuendo le polemiche, ha smentito e chiesto che al ballottaggio si votasse per Tondelier.
C’è un’ironia in queste ambiguità vista la posizione di Macron prima delle elezioni presidenziali, appena due mesi fa. Il campo di Macron aveva disperatamente dipinto gli elettori di Mélenchon come sbavanti all’idea di eleggere Le Pen solo per attaccare i liberali. Ciò, ovviamente, non si è concretizzato e una pluralità di elettori di sinistra ha votato contro Le Pen. Eppure, andando al secondo turno di queste elezioni parlamentari, solo sei dei sessantuno candidati di Macron sconfitti hanno chiaramente sostenuto Nupes contro i rispettivi oppositori del Rn.
Non è certo un esito nuovo. Già in vista delle elezioni regionali del 2021, Macron aveva avanzato l’idea di porre fine al cosiddetto «fronte repubblicano» contro l’estrema destra. Ha suggerito che nessuna indicazione dovrebbe essere data dall’alto e che la decisione dovrebbe invece essere presa a livello locale. In vista di quel ballottaggio, Gabriel Attal, ministro dell’azione pubblica e della contabilità di Macron, ha fornito una secca definizione dello stato del fronte repubblicano: «È morto». Ma con un occhio strategico alle elezioni presidenziali di questo aprile, il portavoce del governo Christophe Castaner aveva preso una strada diversa: «Ne avremo bisogno», ha spiegato ai suoi alleati.
Con quelle richieste ormai archiviate, il fronte contro l’estrema destra è stato effettivamente eliminato e Castaner può liberamente accusare Mélenchon di aver preso ordini da Mosca. Il più notevole è stato il cambio di rotta di Richard Ferrand, il presidente macronita dell’Assemblea nazionale. Invitando gli elettori di Mélenchon a sostenere Macron contro Le Pen ad aprile, aveva parlato dei «valori comuni» che condividevano. Ora, andando alle elezioni parlamentari in cui ogni seggio conta, Ferrand nega il voto alla sinistra, dicendo che la posta in gioco è «una scelta di valori».
L’ambiguità è arrivata in gran parte perché nessuno vicino a Macron aveva previsto la necessità di pensare a potenziali ballottaggi tra i candidati Mélenchon e Le Pen. Al massimo, ha scritto l’Express, se ne aspettavano forse dieci. Uno dei più stretti collaboratori di Macron, sostiene il giornale, aveva dato loro una «coraggiosa assicurazione» quattro giorni prima delle elezioni: «L’obiettivo è che non ci siano duelli Rn-Nupes». «Sfida fallita», annotava seccamente il giornale.
Base parlamentare
Ma ci sono anche altri motivi per cui ogni seggio conta. Anche se Mélenchon non ottiene abbastanza seggi per diventare primo ministro, il numero di parlamentari eletti per Nupes influisce su ciò che può fare all’Assemblea nazionale. Bastano appena quindici deputati (cinque anni fa France Insoumise ne ottenne diciassette) perché un gruppo abbia accesso ai fondi statali per pagare gli assistenti parlamentari e disponga di più tempo per parlare quando i partiti pongono domande al governo.
La soglia successiva è di cinquantotto parlamentari, a quel punto un gruppo può firmare una mozione di censura che viene discussa all’Assemblea nazionale. Se la maggioranza assoluta dei deputati, 289, sostiene la mozione, cade il governo e il presidente deve nominare un nuovo primo ministro. Mélenchon ha già parlato dell’utilizzo di una mozione per bloccare i piani di Macron di aumentare l’età pensionabile a sessantacinque anni.
A sessanta parlamentari, un gruppo può indirizzare una legge al Consiglio costituzionale. Già nell’ultimo parlamento, un’alleanza tra il Partito socialista e i parlamentari di France Insoumise ha usato questo potere per annullare alcune disposizioni della legge del governo sul pass vaccinale, inclusa la richiesta che tale pass fosse necessario per partecipare a riunioni politiche.
Più significativamente, un gruppo di 185 parlamentari può presentare un disegno di legge all’elettorato francese, sebbene il suo percorso per l’adozione con l’attuale sistema sia contorto. Questo cosiddetto «referendum di iniziativa comune», come viene chiamato questo strano istituto, è solo uno dei modi in cui Mélenchon ha proposto di organizzare un referendum per un’assemblea costituente che eliminerebbe del tutto la presidenza.
Un segnale incoraggiante
Queste tecniche parlamentari potrebbero diventare strumenti importanti per il movimento di Mélenchon per una «rivoluzione dei cittadini» se, come suggeriscono le proiezioni, non si insedierà nell’ufficio del primo ministro di Matignon. Per imporre un esito del genere al presidente, avrebbe bisogno di almeno 289 su 577 parlamentari. Le Monde prevede che Nupes occuperà tra i 150 e i 190 scranni.
Ma non si tratta di previsioni scontate. Una settimana prima delle elezioni parlamentari del 2017, le migliori proiezioni vedevano la coalizione di Macron accaparrarsi tra i 415 e i 455 seggi. Alla fine ne ha avuti 350: una stragrande maggioranza, ma ben al di sotto delle aspettative. In una campagna in cui tante sfide si sono ridotte a una competizione tra Mélenchon e i rispettivi candidati di Macron, un errore elettorale del genere potrebbe facilmente avere enormi conseguenze per la Quinta Repubblica.
«Cosa farà la differenza nei prossimi cinque giorni?» ha chiesto una giornalista a Mélenchon lunedì.
«Faremo campagna elettorale – ha risposto – io continuo a credere nella democrazia». E poi: «Penso che le persone abbiano ricevuto un segnale incoraggiante».
«Pensi ancora che sia possibile diventare primo ministro?» gli ha chiesto la giornalista.
«Se avremo la maggioranza dei deputati io entrerò a Matignon».
«Facile a dirsi, ma difficile a farsi», ha ribattuto lei.
«Be’, grazie signora, lo sappiamo bene».
*Marlon Ettinger è autore di Zemmour & Gaullism (Ebb Books, 2022). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.